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La collina del disonore

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La locandina del film "La collina del disonore" di Sidney LumetE’ chiaro che l’espressione ricorrente di guerra civile applicata alla situazione politica italiana è usata in senso metaforico. Non compaiono armi in giro, anche se talvolta sono evocate da figuri senza vergogna. Tuttavia è forse necessario interrogarsi su quale sia la base di realtà sottesa da una metafora, che come tutte le metafore copre una carenza di precisione.

In Italia si sta da tempo configurando una zona oscura fra la pianura della democrazia moderna e la montagna della guerra civile. La chiameremo, prendendo a prestito il titolo di un film, La collina del disonore. Nel film, un’autorità stupida e crudele costringe gli uomini ad ogni sorta di umiliazione psicologica nel percorrere in continuazione una artificiale collina di sabbia, godendo così dell’impotenza indotta, a sancire l’intoccabilità dell’autorità e l’impraticabile distanza fra essa e le sue vittime. Tale autorità, pur formalmente legittima, abusa della sua legittimità per imporre ai sottoposti esperienze insopportabili.

Nel nostro Paese almeno la metà dei cittadini è vittima della collina del disonore. Milioni di persone oneste e normali, restie a farsi affascinare dai sinistri bagliori di un carisma costruito sulla prepotenza e il cattivo gusto, incapaci di accettare l’elogio dell’avvilimento della ragione e dell’argomentazione, stanchi dell’esibizione del non senso, degli arrampicatori sugli specchi, dei servi volontari e compiaciuti di ciò, dell’apologia del cinismo, attoniti di fronte all’irrisione della morale pubblica e al proliferare dei suoi cantori, tutti si sentono in qualche modo disonorati senza colpe. L’utilizzo infettivo della colpa sugli innocenti, della malattia sui sani ha una lunga tradizione: quella della strategia delle forze deboli per neutralizzare i forti di spirito e generosi. Seguendo Nietzsche, dobbiamo davvero cominciare a proteggere i forti contro i deboli. Sursum corda!

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