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Lo Stato pusher

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I nostri attuali stili di vita appaiono sempre più come un passare continuo da un’ambientazione dipendente a un’altra: dal lavoro allo shopping, dal pc alla tv, dalle relazioni al cibo, tutto il nostro tempo oggi sembra ipercodificato da una sorta di codice a barre sul quale, decriptato, troviamo scritto “godi, usa e getta, velocemente, e soprattutto non soffermarti”. Un passare così vorticoso da non consentire nemmeno per un attimo di rimanere da soli con se stessi, con le proprie emozioni, i propri pensieri, divenuti all’improvviso terribilmente minacciosi e pericolosi. Sembrerebbe proprio che lo scopo dei nostri stili di vita sia quello di evitare il contatto con sé, il mondo interno, l’intimità, ma anche il contatto autentico con l’altro, con gli altri.

Su questo terreno comune di “normale” alienazione, proliferano in maniera epidemica nuove forme di disagio psicologico, o forse dovremmo dire vecchissime forme di patimento che si sono dovute giocoforza aggiornare alle nuove condizioni di vita. Pensiamo alle fenomenologie ansiose e depressive, ma pensiamo anche e soprattutto alla preoccupante impennata delle nuove “addictions” legate al gioco d’azzardo compulsivo (Gambling), le ludopatie da poker, slot videopoker, lotterie, assieme ad altre innumerevoli forme “tecnologizzate” di dipendenza (internet, telefonino, tv, videogiochi), problematiche queste gravissime che possono colpire trasversalmente, diremmo democraticamente, ognuno di noi senza distinzione di sorta, proprio perché sono forme di sofferenza del tutto contigue/confuse con i più comuni stili di vita e quindi facilmente mimetizzati con essi, e perciò difficilmente riconoscibili come “problemi”, almeno inizialmente. La gravità di queste psicopatologie non consiste solo nell’invalidare la vita personale degli individui, inchiodati alla ripetizione di azioni e pensieri totalizzanti, ma di travolgere le persone care e vicine nel tracollo economico che producono.

Ma cosa c’entra lo Stato? C’entra eccome visto che su queste problematiche così comuni specula e di fatto impone una sorta di tassazione su base psicopatologica incentivando sempre più il comportamento di azzardo. Prendiamo ad esempio l’ultima geniale trovata del 10 e Lotto, dove ci sono estrazioni ogni 5 minuti e tutto sembra congegnato per costruire una patologia compulsiva. Ma questa è solo l’ultima trovata di una serie infinita di invenzioni incentivanti la dipendenza: moltiplicazione di estrazioni, lotterie, gratta e vinci, diffusione capillare di videopoker, poker online, bische, sale giochi, facilitazioni per le puntate.

Una folle escalation di giocate di anno in anno (guarda i dati) che pare non porre alcuno scrupolo etico o sanitario ai responsabili, a tutti i livelli, visti gli interessi economici in ballo e visto che un anno di giochi vale come due scudi fiscali.

Da psicologi e da cittadini ci domandiamo se tutto questo ha senso e dove ci porterà. Può l’interesse economico essere sovraordinato rispetto alla salute dei cittadini? E quando esiste un conflitto tra questi due interessi quale deve prevalere? Può lo Stato comportarsi come uno spacciatore?

di Luigi D’Elia

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