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L’Italia e la politica della fazione

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Storici e politologi hanno più volte messo in risalto come in Italia una vera e propria modernità di tipo occidentale non si sia mai del tutto affermata; modernità intesa – ed è su questo che vorrei riflettere – come centralità dello Stato nella vita collettiva. Parliamo dello Stato, ovviamente, con la S maiuscola: cioè di Stato come cultura dell’appartenenza a una collettività, come sede di istituzioni indubitabili e non derogabili, come luogo di garanzia di doveri e interessi dei singoli, come frutto di un contratto partecipato e inalienabile. Lo Stato, in definitiva, come certezza. La modernità si fonda su certezze, dicono gli antropologi: dunque non può esistere modernità senza una visione alta dello Stato. Ma la cognizione di uno Stato moderno, purtroppo, gli italiani non l’hanno mai avuta fino in fondo. Ancora oggi l’Italia poggia su un’assenza statuale, eppure, contemporaneamente, è sopraffatta da un eccesso di politica. Della politica peggiore, ovviamente.

Si sa, la politica in Italia pervade ogni ambito: da noi “tutto è politica”, oggi come nel passato. La politica nel nostro paese è il frutto di un retaggio storico ben preciso, cioè politica come fazione, come obbligo ideologico, come dispensatrice di privilegi (e carriere), come appartenenza dottrinale (religione laica), come corporazione che dà senso di appartenenza (dai Guelfi ai Ghibellini, ogni questione da noi è contrapposizione manichea per fazioni).

Ed è sotto gli occhi di tutti come il berlusconismo (che si definisce un movimento non di derivazione politica, ma è al contrario il massimo interprete della tipica politica italiana) esercita una diretta azione contro l’idea di Stato moderno. Il berlusconismo è la quintessenza di una politica per fazione (o con Berlusconi o contro Berlusconi), di una politica sovraordinata allo Stato e non – come dovrebbe essere nella modernità occidentale – subordinata ad esso, di una politica come disgregazione di quella solidità dello Stato che è premessa di modernità. Anche nel 2010, nel peggior riflusso antimoderno della nostra storia repubblicana, abbiamo visto troppa politica in troppo poco Stato.

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