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In difesa di Benitez e del merito

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L’allenatore dell’Inter Benitez – tra i più bravi e pagati al mondo – protesta con educata fermezza con il Presidente Moratti. La società non è stata ai patti: non ha comprato neanche uno dei calciatori promessi. Benitez chiede (infine, anche in pubblico) rispetto per la sua professionalità, e chiarezza. Si sente co-responsabile del raggiungimento degli obiettivi sportivi; che così non saranno raggiunti. Richiama la società alle sue responsabilità, chiede di cambiare strada; oppure si offre di andare via. Fin qui i fatti.

Commento di Mario Sconcerti, sul Corriere: “Benitez dà a Moratti un ultimatum che Moratti non ha mai dato a Benitez allenatore. Un gesto quasi volgare”. Punti di vista.

Le eccellenze professionali hanno un patrimonio tecnico e di reputazione da tutelare. Si chiama ‘capitale umano’. Non puoi dirgli: “Io ti pago, tu non devi pensare: esegui e basta”. Non sono servi, travet, operai alienati sulla catena di montaggio di fine ‘800. Sono dei creativi; dirigenti. Si sentono corresponsabili dei risultati. Hanno la mentalità del lavoro in team, propria degli specialisti: “In base al progetto concordato, io faccio questo, tu fai quello… Ognuno fa quello che sa fare meglio”. Ma il risultato finale del mio lavoro dipende anche dal tuo lavoro”. Questi lavorano per te solo a certe condizioni e modalità, oltre che per lo stipendio.

Questa mentalità è ‘vincente’ in un mondo tecnologicamente avanzato: nessun individuo può accumulare in sé tante diverse conoscenze da progettare e dirigere da solo la realizzazione di grandi imprese, o di prodotti complessi e raffinati tipici dell’era moderna. Ed è anche la modalità meno alienante: si lavora per essere utili, per amore del risultato. In questa modalità sta gran parte della dignità del lavoratore; ed è anche più motivante: gli uomini non sono macchine!

Questo modo di porsi da parte delle “grandi competenze” (e non solo) crea spesso invidie e resistenze. Da parte degli impiegati meno qualificati che non pensano di poter fare altrettanto (“Dove finiremo se tutti discutessero ad ogni piè sospinto le direttive dei capi?”). Da parte anche dei colleghi dirigenti che fanno finta di lavorare (bene), e che vengono inevitabilmente smascherati da uno appassionato del suo lavoro, che vede il suo impegno frustato dal vuoto altrui.

Nella pubblica amministrazione, è un classico. E’ il gioco del: “fare finta di lavorare; realizzare prodotti che sembrano utili”, ma che – analizzati da vicino – sono finti! L’Inter, però, diversamente dalla P.A., non può permettersi di disincentivare queste qualità. C’è chi, come Sconcerti, è rimasto a 50 anni fa: un allenatore, un semplice dipendente, non discute le scelte del Capo! Se Moratti vuole essere anche moralmente il Presidente di una società che si chiama “Internazionale”, non si ritenga offeso dalla franchezza di Benitez, ma valuti se quel che dice è vero e rilevante. Pare di sì!

PS. Personalmente, credo che lo stesso discorso dovrebbe valere per tutti. Oggi, a fare il lavoro ripetitivo, ci sono i robot. Come in catena di montaggio. Abituiamoci a parlare alla pari: ai fini della qualità e del risultato, conta chi la dice (fa) giusta, non chi è gerarchicamente superiore. E’ il segreto di tante nostre PMI.

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