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Strage di campesinos nell’Honduras
Guidato dal dittatore Porfirio Lobo

A parlarne è il medico afro-honduregno Luther Castillo, in Italia per raccontare la lotta del Frente Nacional de Resistencia Popular contro il potere dittatoriale affermatosi dopo il golpe del 28 giugno 2009
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“Da agosto sedici assassinati solo nel movimento campesino contro il latifondismo”. Ecco l’Honduras di Porfirio Lobo nelle parole del medico afro-honduregno Luther Castillo, in Italia per raccontare la lotta del Frente Nacional de Resistencia Popular contro la dittatura. Sedici mesi dopo il golpe del 28 giugno 2009, quando è stato deposto il presidente Manuel Zelaya, nel paese centroamericano si respira ancora un clima di repressione e forte militarizzazione, le violazioni dei diritti umani contro la popolazione sono quotidiane.

Esponenti della società civile uccisi in esecuzioni extragiudiziali, giornalisti ammazzati e informazione imbavagliata, oltre settemila le vittime di torture, detenzioni illegali e sparizioni. E’ il movimento dei contadini senza terra della regione dell’Aguan (a nord dell’Honduras) a pagare il prezzo più alto: 34 assassinati da parte di uomini armati e polizia, concentrati qui per difendere le piantagioni di palma africana e banane. Perché l’appoggio dei grandi latifondisti agli uomini del golpe è stato determinante. E ora chiedono protezione per i propri interessi. Ma nonostante i duri colpi, la capacità di mobilitazione del popolo si è contrapposta al tentativo di decapitare il Frente. “Maggiore violenza -spiega Castillo- ha portato a maggiore mobilitazione civile: la repressione contro i professori di Tegucigalpa ha visto migliaia di persone unirsi alla protesta”. Più di quattromila insegnanti hanno scioperato il 18 ottobre per chiedere il pagamento degli stipendi e per una settimana la capitale è stata teatro di manifestazioni con uso di lacrimogeni, gas al peperoncino e cariche della polizia.

Ma è grazie a loro che l’Honduras sta dando vita ad una nuova forma di resistenza: dal movimento delle femministe, alla comunità gay, insieme a sindacalisti, contadini, professori, studenti, tutti uniti per usare la cultura come arma pacifica. Nessuna forma di guerriglia ma mobilitazione pacifica, democratica e disarmata per la “resistenza culturale”. “Acciòn y Participaciòn” è il motto: “Quando i mezzi di comunicazione stanno zitti le pareti iniziano a parlare con pittori di strada, murales, graffiti e scritte” si racconta nella capitale Tegucigalpa.

E così il regime di Lobo ha preso di mira anche la cultura. Il 15 settembre quando la popolazione della città di San Pedro Sula è stata brutalmente attaccata durante un concerto organizzato da “Artisti in Resistenza”. A farne le spese anche i musicisti sul palco che sono stati malmenati e minacciati di morte da un contingente combinato tra la polizia e l’esercito che ha distrutto tutti gli strumenti musicali. Un immagine-simbolo della repressione in atto in Honduras e ignorata dalla stampa internazionale. “Ma il pericolo maggiore per Lobo arriva dall’interno – spiega Castillo – con la perdita di consenso della classe media”.

Il governo di Porfirio Lobo sta infatti mettendo in atto uno dei progetti neoliberisti più aggressivi degli ultimi tempi azzerando le riforme introdotte da Zelaya: privatizzazione dei servizi pubblici come acqua ed elettricità, annullata la richiesta di elevare il salario minimo, contratti di lavoro che violano la legge nazionale e la Costituzione. Lo scontento è palpabile tra gli Honduregni. Mentre il 20 Ottobre dagli Usa arrivano i primi risultati delle denunce delle organizzazioni dei diritti umani. Trenta deputati democratici del Congresso hanno esortato il governo a sospendere gli aiuti all’Honduras finché non “faccia progressi sostanziali nel migliorare il suo deplorevole passato nei diritti umani”.

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