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Dopo il buonismo, il giustificazionismo

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Vorrei parlare di quel fenomeno di Massimo Calearo, il quale ha perfezionato una tecnica, tutta politica, che serve a motivare il cambio di casacca: utilizzando la categoria del “ giustificazionismo “ il buon Massimo, in numerose e articolate interviste, ci ha spiegato il senso del suo pellegrinaggio dal Partito Democratico al partito di Rutelli e infine al gruppo misto.

In buona sostanza il suo ragionamento è il seguente: sono stato eletto nel Pd di Walter Veltroni e mi sono ritrovato nel giro di un anno in un partito bolscevico con cui non ho nulla da spartire. Tra il lusco e il brusco l’ottimo Calearo ci ha anche illuminato, con sprazzi da vero “paron” veneto, ricordando che a differenza di molti altri colleghi di partito lui vive del “ suo” e non di politica. Quindi da “paron” non ha altri “paroni”.

Ergo, la giustificazione che a parere del genio Calearo serve a comprendere perché il traditore non è lui ma tutto il partito del Pd, compresi gli elettori che democraticamente eleggono i dirigenti che a loro volta eleggono il segretario. L’accusa a questi milioni di individui è quella di essere diventati, tutti ma proprio tutti, comunisti e antiberlusconiani.

C’è di che rimanere stupefatti: non Calearo che cambia giacchetta ma milioni di elettori e simpatizzanti, che eleggendo Bersani e non chi avrebbe voluto Calearo, sono da annoverare tra i traditori.

Il cambio di prospettiva è notevolissimo e, di sicuro, sarà interiorizzato dai numerosi trasformisti che galleggiano nel nostro parlamento. Il partito cambia, anche solo di una virgola, la propria prospettiva politica e scatta il bonus per il singolo deputato per motivare il traghettamento verso altri partiti che, in rapporto a quello originario, sono profondamente diversi e talvolta antitetici. Ci sfugge come abbia motivato, Calearo, anche l’abbandono di Rutelli: si possono fare alcune ipotesi. Anche Rutelli è un feroce antiberlusconiano (cosa ignota ai più) oppure Rutelli, dietro la faccia da bravo ragazzo nasconde un ghigno da soviet supremo.

Ciò che al contrario non ci sfugge riguarda il vivere del “suo” che evidentemente non è sufficiente a Calearo per affrontare l’attuale contingenza economica, se al suo non riesce a rinunciare “al nostro” ovvero il lauto compenso che, in qualità di parlamentare, Calearo guadagna grazie ai voti comunisti e alle tasse pagate anche dai comunisti.

Il Suo e il Nostro insieme sono evidentemente meglio del solo suo, e per giustificare questo attendiamo una nuova elaborazione politica da parte dell’imprenditore. Si può suggerire a Calearo di dimettersi da parlamentare, tornando così a vivere dei suoi soldi e non dei nostri, ma questo suggerimento potrebbe, da lui, essere considerato una minaccia alla propria vita e giustificare un ulteriore passaggio alle liste di Forza Nuova.

Per carità di patria vorremo evitarlo. Ci si domanda, infine, cosa avesse in testa Veltroni il giorno in cui decise di candidare questo fenomeno. Ma questa è un’altra storia.

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