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Non chiamiamola P3

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“Le vicende della P2 sono sovrapponibili a quelle della P3”. Lo dice Antonio Di Pietro dopo aver letto alla Camera un passo del Piano di Rinascita Democratica di Licio Gelli, mentre esprime la dichiarazione di voto in merito alla sfiducia nei confronti del Sottosegretario Caliendo.

P3, l’abbiamo chiamata tutti, questa “nuova” forma di “loggia”. Secondo una logica 2.0, secondo una logica sequenziale, come se fosse un sequel di un vecchio film.

Ma se fosse veramente un sequel, questo presupporrebbe una discontinuità rispetto al passato. Invece, a rileggerlo, quel Piano di Rinascita Democratica, non si può che rilevare che alcuni dei suoi punti siano stati sistematicamente perseguiti negli anni dai Governi Berlusconi. Del resto, lo ha detto lo stesso Licio Gelli. Che i metodi sono sempre gli stessi, nel tentativo di interferire con la magistratura, nel tentativo di controllare la cosa pubblica perseguendo l’interesse di pochi. Ma anche nel presentare gli eventi all’opinione pubblica: di Gelli si diceva che era solo un materassaio. Così come, oggi, su Caliendo, Carboni, Martino, Lombardi e compagnia, si minimizza e si dice che non avevano alcun potere, alcuna capacità di influire sugli eventi del Paese.

Non è una nuova P2. Non è una P3. E’ sempre la solita vecchia gestione del potere, che si ripropone ancora una volta in tutto il suo squallore.

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