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Le parole sono pietre

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Le parole sono pietre. A volte perfino mazze chiodate. L’amministratore delegato della Fiat Marchionne, quello dei pulloverini dolce vita, dopo aver deciso di sbaraccare lo stabilimento di Termini Imerese se l’è presa con gli operai di laggiù che si sono voluti vedere la partita dell’Italia invece di intonare cori di ringraziamento a chi gli toglierà nel giro di un anno il pane e il lavoro. Morale? Non occorre rispolverare il vecchio concetto di lotta dei classe: basta ricordarsi che esistono ancora, qui e altrove, i ricchi e i poveri.

E quasi sempre, nella prosa di chi riscrive la storia, gli ingrati sono sempre i poveri, quelli che stanno sotto, i sans papier: a Termini non apprezzano che qualcuno gli stia chiudendo la fabbrica, a Pomigliano, cose dell’altro mondo, non ringraziano per i diciotto turni settimanali alla catena di montaggio senza mensa né diritto di sciopero! Ingrati, ecco. Anche per questo suona surreale la polemicuzza esplosa dentro il PD. La parola “compagno” non si deve usare più: sa troppo di sinistra, di fabbrica, di operaio… Proprio un pugno nell’occhio con i cachemire blu del dottor Marchionne.

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