Nei nostri neuroni c’è una molecola che potrebbe rappresentare un prezioso custode dei ricordi. Un alleato della memoria contro il suo appannamento, fino al completo dissolvimento, che colpisce i malati di Alzheimer. È un operaio delle cellule, un enzima. Il suo ruolo è cruciale: controllare il comportamento di una molecola fondamentale per la salute dei neuroni, la proteina tau. Una molecola che, in condizioni normali, è essenziale per il funzionamento delle cellule nervose. Ma che nell’Alzheimer, venendosi a trovare in assenza del proprio custode, impazzisce. Dimenticando, così, la propria funzione e formando dei grovigli di fibrille proteiche tossici, che rappresentano una delle concause dell’insorgenza e della progressione della malattia.

Questo guardiano della memoria, denominato “p38γ chinasi”, è stato individuato da un team di ricercatori dell’University of New South Wales, in Australia. In uno studio pubblicato su Science, condotto su topolini di laboratorio, i biologi australiani hanno dimostrato che l’enzima scompare col progredire della malattia e che, se iniettato nei topi, è in grado di rallentarne la degenerazione cerebrale. Il ruolo delle proteine tau è, infatti, quello di stabilizzare i microtubuli, i binari su cui viaggiano i materiali trasportati all’interno delle cellule. Questo processo nei malati di Alzheimer è alterato da una forma tossica della proteina tau, che si accumula nelle sinapsi, le regioni di connessione tra i neuroni, indebolendo le comunicazioni tra i neuroni e ostacolando, così, la formazione dei ricordi. L’enzima studiato dai biologi australiani contrasta questa catena di eventi.

“L’enzima p38γ chinasi sembra bloccare l’Alzheimer ostacolando anche l’azione di un’altra proteina problematica, chiamata beta-amiloide. Una molecola – spiega la rivista londinese New Scientist – che, come la proteina tau, può formare placche che si accumulano nel cervello dei malati di Alzheimer, portando alla neurodegenerazione”. L’Alzheimer è la più comune forma di demenza senile. Una patologia che, malgrado i passi avanti compiuti dalla ricerca per frenarne la progressione – ad esempio nella diagnosi precoce, con biopsie della pelle o specifici biomarcatori come il ferro -, continua a colpire. Soprattutto gli over 65, e in prevalenza le donne. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), sono quasi 48 milioni i malati di Alzheimer, di cui 1 milione e 200mila solo in Italia. E le stime degli esperti non sono rosee per il futuro, complice l’invecchiamento progressivo della popolazione. Secondo l’Alzheimer’s disease international (Adi) – la federazione internazionale legata all’Oms che riunisce le associazioni che si occupano di questa patologia neurodegenerativa -, nel 2050 le previsioni sono di un’impennata, con più di 100 milioni di malati.

Lo studio australiano apre adesso la strada a nuovi possibili trattamenti, incentrati sull’enzima p38γ chinasi e sul suo ruolo di controllo esercitato su tau. “La maggior parte delle ricerche è focalizzata sulla proteina beta-amiloide come bersaglio – spiegano gli autori -. Attualmente abbiamo, infatti, trattamenti che diminuiscono i livelli di questa proteina, ma non hanno molta efficacia. Usare, quindi, un enzima – concludono i biologi australiani – per impedire che la proteina tau diventi tossica può, invece, rappresentare un approccio nuovo ed eccitante”.

L’Abstract dello studio su Science

Articolo Precedente

Ibernazione, nel mondo 377 persone già congelate. Ma al momento non esiste una tecnica per ‘risvegliarle’

next
Articolo Successivo

ExoMars, schianto Schiaparelli per via di “test affidati a ditta non specializzata”. Esa: “Attendiamo esiti commissione”

next