Ancora una promessa. L’ennesima di una lunga serie di aspettative create e mai rispettate dalle autorità del Cairo. Mentre è ancora alta l’indignazione per i risultati delle indagini secondo cui Giulio Regeni, il ricercatore friulano trovato cadavere nella capitali egiziana il 3 febbraio, sarebbe stato ucciso da un gruppo di rapinatori e dopo l’appello per la ricerca della verità lanciato dai genitori in Senato, il procuratore generale egiziano, Ahmed Nabil Sadeq, ha ordinato la formazione di un nuovo team investigativo con l’obiettivo di fare “piena luce” e “svelare la verità” sull’omicidio. Lo ha reso noto un comunicato della stessa procura generale egiziana.

“Nell’ambito dell’accordo di collaborazione positiva tra la procura generale egiziana e quella italiana – prosegue la nota – il procuratore egiziano Sadeq ha contattato telefonicamente il suo omologo Giuseppe Pignatone (arrivato al Cairo il 14 marzo per seguire da vicino le indagini dei colleghi egiziani, ndr) informandolo delle novità sul caso e sul prosieguo delle indagini. I due procuratori – si conclude – hanno concordato di proseguire con lo scambio di informazioni finché i responsabili dell’accaduto non saranno consegnati alla giustizia perché siano puniti”. Fonti egiziane hanno confermato che il comunicato si riferisce al colloquio telefonico del 28 marzo, non seguito da altre telefonate.

L’annuncio arriva nelle stesse ore in cui rientra in Italia il team investigativo di tre agenti del Sco e tre del Ros inviati al Cairo il 5 febbraio, a 48 ore dal ritrovamento del corpo, avvenuto lungo la strada che collega il Cairo con Alessandria. Investigatori cui i colleghi egiziani non hanno mai consegnato i materiali dell’inchiesta promessi nei giorni seguiti alla morte del 28enne di Fiumicello.

Mancano ancora all’appello i dati delle celle telefoniche e i video delle telecamere di sorveglianza di metropolitane e negozi del quartiere nel quale Giulio viveva ed è sparito il 25 gennaio scorso, dei quali la procura di Roma ha fatto, in più occasioni, esplicita richiesta. Inoltre i documenti inviati fino a oggi dal Cairo contengono informazioni sommarie e carenti anche sui verbali delle testimonianze raccolte dagli inquirenti egiziani.

Dati mai consegnati nonostante le promesse arrivate fin dai primi giorni: il 4 febbraio il portavoce del ministero degli Esteri del Cairo, Ahmed Abu Zeid, spiegava in una nota che il capo della diplomazia egiziana Sameh Shoukry e il numero uno della Farnesina Paolo Gentiloni, in un incontro a Londra, “hanno discusso del decesso dello studente italiano” e “si sono accordati su una cooperazione totale tra i due Paesi per far luce sulle cause del decesso nel quadro delle relazioni di amicizia e cooperazione esistenti tra i due Paesi”.

“Le autorità egiziane offrono la massima collaborazione ai funzionari investigativi italiani”, assicurava poi l’8 febbraio l’ambasciatore egiziano in Italia, Amr Helmy. Impegni disattesi su cui il 24 febbraio si pronunciava persino il sempre cauto Gentiloni: gli agenti italiani impegnati al Cairo nelle indagini sulla morte di Giulio Regeni “devono avere accesso a tutti i documenti sonori e filmati e a tutti gli atti del processo nelle mani della procura di Giza”, scandiva il ministro degli Esteri.

Il 25 marzo, giorno in cui il ministero dell’Interno del Cairo annunciava i risultati dell’indagine secondo cui Regeni era stato ucciso da una banda di rapitori specializzati in rapine e sequestri di stranieri, Pignatone aveva spiegato che “gli elementi finora comunicati dalla Procura egiziana al team di investigatori italiani presenti al Cairo” non erano “idonei per fare chiarezza sulla morte di Giulio Regeni” e che la procura “rimane in attesa che la Procura generale del Cairo trasmetta le informazioni e gli atti, da tempo richiesti e sollecitati, e altri che verranno richiesti al più presto in relazione a quanto prospettato ai nostri investigatori”.

Il prossimo appuntamento è fissato per martedì 5 aprile, quando la polizia di Roma e quella del Cairo faranno un punto della situazione sul caso Regeni: in quell’occasione, ha assicurato Sadeq a Pignatone nella telefonata del 28 marzo, le autorità egiziane consegneranno tutta la documentazione richiesta dagli inquirenti italiani e quella ulteriormente raccolta. Se il 5 aprile non ci sarà un “cambio di marcia” e non arriveranno risposte “convincenti”, ha detto il capo della diplomazia italiana, “compiremo passi conseguenti”. Alla Farnesina si studia il richiamo del nostro ambasciatore al Cairo, opzione meno forte rispetto al ritiro definitivo. Sono state ipotizzate anche una revisione dei rapporti tra Italia ed Egitto e una etichetta nuova per il Paese, da definire come “non sicuro“, cosa che potrebbe ridurre i flussi turistici italiani.

L’ennesima pista falsa: “Ucciso da trafficanti di reperti” – L’ennesima pista falsa sulla morte di Regeni è contenuta in una lettera anonima recapitata all’ambasciata italiana al Cairo. Nel testo si legge di un presunto coinvolgimento del giovane ricercatore friulano in un traffico di reperti archeologici. “Che Regeni potesse essere implicato in un traffico di reperti”, è “assolutamente un’altra bufala che offende la sua memoria”, è una versione “inquinata”, ha detto il presidente del Copasir, Giacomo Stucchi, al termine della audizione da parte del Comitato parlamentare del direttore dell’Aise, Alberto Manenti. Anche la Procura di Roma ritiene “inattendibile” l’ipotesi.

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