Nell’Islam la violenza nasce già con la sua fondazione”. C’è poco da girarci attorno, o da fare paragoni con gli aspetti più retrivi e deprecabili di storia e precetti delle altre religioni monoteiste. E’ perentorio il giudizio del poeta siriano libanese Adonis sulla religione islamica e sul Corano, come si evince dalla lunga e densa chiacchierata tenuta con la psicoanalista e scrittrice Houria Abdelouahed contenuta in Violenza e Islam (Guanda).

Il nucleo di pensiero e confronto dal quale sorge il nuovo saggio/pamphlet dell’85enne autore dei tre volumi al-Kitab (Le livre) è proprio questo vulnus arcaico e tribale che lega spiritualità ad agire politico nel mondo arabo musulmano contemporaneo, e che diventa bersaglio di una critica totalizzante. Laico dichiarato, Adonis mette subito le cose in chiaro liquidando la cosiddetta “primavera araba” come un tentativo totalmente fallito, una “primavera senza rondini”, perché “non si può nel contesto di una società come quella araba, fare una rivoluzione se questa non è fondata sulla laicità”.

Appunto: stato separato dalla religione, istituzioni civili non sostituite dai rappresentanti del culto. Invece le piazze Tahrir del nord Africa hanno finito per rilanciare partiti confessionali e soluzioni ben poco laiche dopo la cacciata dei tiranni. Dopo quei fatti “il fondamentalismo è riemerso meglio organizzato e più crudele di prima. Dalla speranza e dal desiderio di giorni migliori si è così precipitati nell’oscurantismo (…) quel che è accaduto in nome della rivoluzione nei paesi arabi dimostra che la stragrande maggioranza della società araba è ancora dominata dall’ignoranza, dall’analfabetismo e dall’oscurantismo religioso”. Un problema di visione storica mai sviluppata e accettata, di occultamento di episodi laici e civici a scapito della continua rimodulazione della lettura di un testo sacro che diventa legge dello stato: “Il problema è che la nostra storia è quella di un regime dittatoriale non di un popolo. Non si parla mai né di popolo, né delle sue rivolte, né tanto meno delle sue aspirazioni. Si specula eternamente sul potere del califfo e di Dio, trascurando completamente i diritti dei cittadini”.

Secondo l’85enne poeta siriano libanese oggi residente a Parigi il mondo arabo “non è mai uscito dal Medioevo”, e il principale colpevole di questa arretratezza è nel non essersi mai affrancati come dimensione pubblica del politico dai versi del Corano. “L’Islam essendo nato perfetto, combatte tutto ciò che lo procede e tutto ciò che viene dopo. ‘Tutto’ significa filosofia, arte, pensiero, creatività, visione del mondo. Il pensiero è abolito, l’arte è condannata. Secondo la mentalità tradizionale bisogna essere gregari, non soggetti che s’interrogano. Non è concesso porre domande sulla nostra storia. Bisogna solo ripetere e riprodurre”.

Il ragionamento di Adonis è lucido e ficcante, chiaramente modellato sulle conquiste “democratiche” occidentali, o ancor meglio europee: “Non c’è una cultura araba creatrice che partecipi oggi al cambiamento del mondo. Mentre possiamo parlare di cultura francese e cultura americana proprio perché ci sono problematiche francesi e problematiche americane non possiamo affermare che esista una visione del mondo profondamente araba. Non esistono problematiche arabe, perché l’islam (sempre in minuscolo nel testo ndr) ha dominato la visione araba del mondo.

Il musulmano vede il mondo attraverso la visione islamica che è obsoleta e chiusa”. Ripensare i fondamenti di un popolo e la sua storia diventa così un necessario scrollarsi di dosso di una religione che ha “sacralizzato la violenza” e che nel suo testo sacro fa continui riferimenti all’odio verso il non credente e il diverso, ai supplizi per i nemici (circa 200 tra cui decine di metodi per bruciarli vivi, scorticarli e torturarli), alla subordinazione totale della donna all’uomo. “E’ dal 41 del calendario islamico, vale a dire dal regno di Mu’awiya a Damasco (il califfo del clan Umayyad che regnò dal 661 al 680 dc) che la violenza divenne una struttura religiosa, politica, culturale e sociale. Ed è questa struttura che ha sempre regnato fino ai giorni nostri”. I versetti del Corano in merito si sprecano a centinaia. “Quella dell’islam è una violenza che terrorizza l’umano. L’islam giudica e condanna l’essere umano, stabilendo che non deve conoscere niente, non deve sperimentare nulla, a parte ciò che dicono i precetti religiosi. (…) L’uomo deve dare prova di vassallaggio. E’ questo completo assoggettamento che lo salverà. La salvezza deriverà unicamente da questa sottomissione assoluta”.

Una lente religiosa radicale per leggere elementi  dell’esistenza quotidiana come la morte, l’amore, la libertà. Non c’è spazio per l’altro e per il confronto, e non esiste nemmeno un “io” nella cultura islamica: “L’Io dell’individuo non è determinato dal suo mondo interiore, ma dal Testo e dal consenso della comunità”. Ma è nel capitolo dedicato alla donna che il dialogo Adonis-Abdelouahed prorompe in tutta la sua forza, ed anche nel tentativo psicoanalitico nel rileggere l’islamismo. La donna trattata come “pezzo d’arredamento”, come “proprietà dell’uomo”: “L’islam ha ucciso la donna, non c’è più una donna, c’è solo un sesso. L’ha resa uno strumento per il desiderio e il piacere dell’uomo”. Complicato trovare le cosiddette tracce della “moderazione”, come risulta difficilissimo uscire da un contesto politico trasformato in odio per l’occidentale oggi in forma radicale come l’Isis che non rappresenta una nuova lettura dell’islam, ma incarna solo la chiusura, l’ignoranza, l’odio del sapere, dell’umano e della libertà. Ed è una fine umiliante. Da un punto di vista storico l’islam ha quindici secoli, ma sulla scala dell’umanità è poca cosa”.

 

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