Si allontana il progetto della rete pubblica in fibra. A tre mesi dal terremoto ai vertici della Cassa Depositi e Prestiti, il Fondo strategico italiano (Cdp) e il fondo infrastrutturale F2i cambiano completamente strategia su Metroweb, la controllata milanese della fibra. Secondo quanto riferito da Il Sole 24 Ore, una volta effettuati gli investimenti per lo sviluppo della nuova infrastruttura, i due fondi sarebbero infatti disponibili a trasferire la proprietà della rete nelle mani di Telecom Italia, creando di fatto un nuovo monopolio.

Per i due soci di Metroweb si tratta di “un ripensamento” radicale rispetto alla posizione di questa primavera quando l’ex presidente della Cdp, Franco Bassanini, aveva escluso categoricamente che Telecom potesse diventare proprietaria della nuova infrastruttura in fibra. Nella mente di Bassanini, lo sviluppo della rete in fibra sarebbe dovuto infatti avvenire attraverso una società a maggioranza pubblica partecipata dai più importanti operatori di telefonia del Paese. L’opzione però non è mai piaciuta a Telecom che, nella scorsa primavera, ha interrotto le le trattative su Metroweb lasciando spazio ad un’offerta non vincolante di Vodafone e Wind per la società milanese.

Da allora molte cose sono cambiate. Il decreto Comunicazioni, che fissava i paletti per gli operatori che vogliano investire in fibra, è finito nel dimenticatoio. Bassanini non è più ai vertici della Cdp, dove si sono insediati i due ex banchieri Claudio Costamagna e Fabio Gallia. A differenza di Bassanini, i nuovi vertici della Cdp hanno deciso di tendere una mano a Telecom sulla questione Metroweb, dopo essersi consultati con Renzi e aver informato anche Vivendi, il nuovo socio di riferimento dell’ex monopolista.

Intanto Renzi ha sbloccato i primi 2,2 miliardi di fondi pubblici del Cipe da destinare alle aree a fallimento di mercato, mentre Telecom ha annunciato un piano da 700 milioni per coprire nei prossimi anni un centinaio di città e l’Enel si è messa a disposizione per coprire congiuntamente l’ultimo miglio in fibra in occasione del programma di sostituzione dei vecchi contatori elettrici. Insomma, il piano per cablare l’Italia sta iniziando a prendere forma sia pure secondo un modello diverso da quello inizialmente promosso da Renzi nelle Primarie 2012.

Tuttavia sullo sfondo aleggia lo spettro della reale consistenza della domanda di banda ultralarga. Secondo quanto riferito da La Repubblica nei giorni scorsi, i nuovi abbonamenti in fibra degli italiani sono pochi e gli investimenti fatti dagli operatori sarebbero a rischio: secondo uno studio della società di consulenza Ernst & Young, solo l’8% degli utenti che possono scegliere la fibra (il 35% della popolazione) decide di sottoscrivere un abbonamento. Il dato, nettamente inferiore alla media europea (30%), non fa dormire sonni tranquilli agli operatori che hanno già bussato alla porta di governo e Agcom chiedendo nuovi “rimedi”.

L’esecutivo, dal canto suo, ha promesso 1,4 miliardi di voucher destinati ai nuovi abbonati in fibra. Sulla cifra però manca ancora la copertura come ha spiegato il sottosegretario Antonello Giacomelli. L’Agcom, invece, è al lavoro su una delibera che azzeri i costi di passaggio dall’adsl alla banda ultralarga. Riusciranno le due iniziative ad alimentare la domanda di nuovi abbonamenti? Difficile a dirsi. Di certo se gli abbonamenti non crescono rapidamente, gli operatori avranno un argomento in più per giustificare i ritardi negli investimenti in fibra.

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