Una vita a cavallo tra due culture, quella gipsy e quella italiana. E’ la storia di Laura Halilovic, regista del film autobiografico, “Io rom romantica“, presentato all’ultima edizione del Giffoni Film Festival. Proprio come Gioia, protagonista della pellicola, Halilovic è nata a Torino da una famiglia originaria della Bosnia Erzegovina, arrivata in Italia nell’80. Per problemi burocratici non ha mai avuto la cittadinanza italiana e, dopo anni trascorsi a combattere, ha “riposto le armi”, confessa la regista a ilfattoquotidiano.it. In lei vivono due diverse culture, tanto che parla il rom, una sorta di dialetto, il bosniaco e l’italiano. Ha vissuto i suoi primi anni in un campo nomadi e solo successivamente si è trasferita con la sua famiglia nelle case popolari della periferia di Torino.

“All’inizio ero spaesata. Nel campo ero più libera e con tutti i parenti accanto. Trasferirsi in un condominio non è stato facile perché ero circondata da persone sconosciute e c’erano delle regole da rispettare. Era ora però di adeguarsi all’Italia, scappare dai pregiudizi e farsi accettare”. Nel film, come nella vita, racconta di un’infanzia molto difficile: “I ragazzini a scuola mi vedevano come una zingarella sporca. Uno schiaffo mi avrebbe fatto meno male delle parole”. E i pregiudizi non mancavano nemmeno da parte della sua gente che la trattava come una gagè, un termine per indicare una non rom, perché amava i jeans e si rifiutava di indossare lunghe gonne gitane.

“Ho un padre con una mentalità all’antica ma mi ha educata bene. Se avessi una figlia femmina farei lo stesso. Le ragazzine di oggi vanno in giro mezze nude…”. Rifiutava anche l’idea di sposarsi a sedici anni come da tradizione.”Da noi le donne non lavorano, si sposano presto e fanno dei figli. Mi rivolgo alle ragazze rom: ce la potete fare perché siete uguali alle altre. Bisogna lottare per realizzare i propri sogni“. E nonostante gli ostacoli incontrati lungo il suo percorso, Laura Halilovic ha realizzato il suo sogno approdando al cinema: “Mio padre mi diceva: ‘Tu non ce la farai mai’. Quando è passato il mio corto in tv, ‘Io, la mia famiglia rom e Woody Allen’, mi sono detta: ‘Ce l’ho fatta’”. E orgogliosa aggiunge: “Penso di essere la prima ragazza mamma zingara ad aver fatto un film”.

L’amore per la macchina da presa è nato a otto anni, quando ha visto in tv Manhattan di Woody Allen. “Il mio lavoro mi dà l’opportunità di raccontare il mio popolo. C’è un muro da abbattere e non credo purtroppo che il cinema possa riuscirci”. Ma lei ci ha provato, anche sul set, che ha visto lavorare fianco a fianco attori professionisti, tra cui Marco Bocci, con altri alla prima esperienza scelti in un campo rom, come Claudia Ruza Djordjevic che nel film interpreta Gioia. “Credo che gli attori veri siano le persone che incontri per strada”.

Per la regista l’integrazione tra le culture è ancora molto lontana: “Sono due mondi che non si voglio conoscere e non vogliono comunicare tra loro. Una non comunicazione che si sviluppa fin da piccoli: ‘non gioco con te perché sei zingaro’, ‘non gioco con te perché sei italiano'”. Eppure, dice, “siamo tutti uguali: abbiamo due occhi, due gambe, due braccia. Siamo come dio ci ha messi al mondo. Cambia solo il colore, la cultura e la lingua”. Oggi, a distanza di anni, “sono stata accettata dagli italiani ma non dai rom, anche se con questo film ricevo complimenti, talvolta anche dalla mia gente”.

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