Papà è la parola: desiderata, inseguita, mai arrivata perché Tommy non l’ha mai pronunciata. E il suo innominato papà allora l’ha sognata. “Una notte ho sognato che parlavi” (Mondadori) è una spudorata dichiarazione d’amore di un papà per suo figlio Tommaso, 14 anni di silenzio chiuso in una malattia che noi chiamiamo autismo e della quale sappiamo molto poco. Gianluca Nicoletti, giornalista e scrittore, ci ha messo tutto: furia, dolcezza, ironia, rabbia, stupore, affetto. E un ingrediente rarissimo: la sincerità.

Deve essere un’esperienza violenta scrivere un libro sulla malattia del proprio figlio.
Per me è stata una doppia violenza, dovevo contraddire una sorta di immagine che mi ero cucito addosso in questi 35 anni di professione. Passo per un cinico osservatore di fenomeni della contemporaneità… poi faccio un libro da cui esco come fossi Madre Teresa… Questo però è secondario. Il mio editor ha insistito molto: mi ha convinto l’idea di parlare di questo argomento in maniera concreta.

Il racconto mette a nudo la sua vita e quella di suo figlio in modo assoluto.
L’ho scritto come se raccontassi a un amico o a un collega. Ho cercato di non omettere nulla, anche i particolari: c’è più cinismo che richiesta di commiserazione. È la mia quotidianità. Credo sia civilmente indispensabile che di autismo si parli in maniera concreta e non più fantasiosa. C’è una sofferenza indicibile: in Italia gli autistici sono 400 mila. Credo che ora i miei colleghi abbiano capito perché sono perennemente di corsa, perché preferisco lavorare da casa. È stato un po’ un coming out.

In famiglia erano d’accordo?
Io e mia moglie siamo una coppia abbastanza atipica, non facciamo quadretti d’amore eterno. Viviamo con realismo e concretezza la fatica quotidiana. Abbiamo una famiglia complessa e due lavori molto impegnativi. Da anni ci siamo organizzati in turni, lei lavora il pomeriggio fino alla sera tardi, io mi sono organizzato per fare la radio la mattina. Ho scritto di notte, quando tutti dormivano.

C’è una definizione quasi spietata: “Un figlio nato orfano”. Perché?
Sono figli di cui non hai mai la certezza che ti considerino un genitore. Come i grandi amori non consumati: ecco con un figlio autistico è difficile consumare un atto d’amore genitoriale. Il rapporto con mio figlio è tutto di atti materiali, di protezione. Anche rispetto alla possibilità che lui mi faccia del male. C’è una disperata ricerca di tracce, di fili sottili – a volte immaginari, a volte concreti – per trovare una dimensione parallela alla mia e alla sua dove ci si possa incontrare. È un esercizio quotidiano, faticosissimo.

Il libro nasce in un momento choc, quando Tommy diventa adulto.
È stato un passaggio improvviso: avevo un bambino quando sono partito per il mare e un uomo quando sono tornato. Cambia tutto: un uomo con comportamenti da bambino è difficilissimo da gestire, perché è un essere ibrido che non esiste nella classificazione dei generi umani che conosci. Un gigante aggressivo, con un’interiorità profondissima che tu puoi sondare come chi vaga nella nebbia. Poi ci sono le chiusure, totali, improvvise. E tu non sai quando, perché accadono.

Una vita perennemente all’erta.
Un po’ come un latitante. Ha una città nella quale confondersi e nascondere i segni della sua diversità, ma deve fare una vita il più possibile simile a quella degli altri. Ha un segreto che pesa sulla testa e deve sempre stare con la pistola pronta. È quello che succede a me. Mio figlio non può star solo un istante: nel secondo che sta solo può succedere di tutto. Si fa male, apre il cassetto dei coltelli, distrugge qualcosa.

E quando non siete insieme?
Quando mi chiama mia moglie mi viene sempre il batticuore. Lei in questo momento è molto più esposta di me perché lui è fisicamente preponderante. Pochi giorni fa a Vicenza un’insegnante di sostegno e un’operatrice di una cooperativa sociale sono state arrestate per maltrattamenti su un alunno autistico. Bisogna che si prenda atto della gravità dell’autismo. L’Istituto superiore di sanità ha emanato le linee guida, sono le più verificate e utili: devono diventare un dato acquisito dalle istituzioni. Oggi per assurdo lo Stato passa terapie inutili e quelle che servono le famiglie se le devono pagare da sole. Bisogna spendere bene i soldi. L’esempio di Vicenza ci dice che è inutile pagare persone che non hanno la necessaria preparazione. Basterebbe una gestione attenta e mirata delle risorse che già ci sono. Tra mezz’ora vado in Comune per vedere se almeno sono riuscito a ottenere uno spazio…

…Insettopia, giusto?
Sì, la mia idea di un luogo dove le persone come Tommy possano avere un’esistenza serena e sicura (nel libro Insettopia è la “la città felice dei ragazzi autistici”, ndr). Il guado è il dopo. Quando i genitori non ce la fanno più, loro e i figli diventano materiale da discarica, residui umani. Finiscono in istituti e un autistico, quando smetti di stimolarlo, regredisce e la vita finisce. Ripeto: lo Stato fornisce un’assistenza inutile. Gli operatori non formati costano quanto operatori capaci: chi conosce la patologia conosce i sintomi e sa come intervenire, sa gestire e prevenire l’ansia.

Tommy un giorno si è rifiutato di andare nella vostra casa in Abruzzo. Era il giorno prima del terremoto.
Io non avvalorerò mai la teoria per cui gli autistici sono gli ambasciatori della nuova era dell’Acquario. Una cosa è vera: hanno una sensibilità incredibile per i particolari.

Come la capacità di riconoscere uno scatolone tra cento uguali?
Durante il trasloco c’era una parete intera di scatoloni perfettamente uguali, avevamo impacchettato tutto giorni prima. Lui cercava una cassetta, mi ha indicato uno scatolone nel mucchio: era proprio lì. Non è una facoltà paranormale, è che ha una straordinaria capacità di memorizzare i particolari. E sì, si è rifiutato di muoversi da Roma quella volta del terremoto, forse ha sentito lo sciame sismico. È una strana malattia, molto legata alla suggestione, su questo sono nate leggende. Però è vero che mio figlio sente i miei stati d’animo, in modo accentuato. E se vuole riesce a rendermi straordinariamente sereno. Come nessun altro al mondo.

Avete un altro figlio più grande.  Com  ‘è il rapporto tra i fratelli?
Per il fratello maggiore è un tradimento perenne. Non riesci a essere sufficientemente attento ai problemi del più grande, che già vive una grande solitudine in famiglia. L’ho capito tardi. E come l’avete risolto? Ci siamo divisi i ruoli, io mio occupo più di Tommy, mia moglie più del figlio maggiore. L’ideale sarebbe – accade in altri luoghi più civili di Roma – che tuo figlio potesse trascorrere con altri ragazzi e operatori il weekend in campagna, per esempio. Una volta all’anno Tommy va in settimana bianca. Lui è felicissimo. E noi così ubriachi di libertà che alla fine non usciamo nemmeno di casa.

Twitter: @SilviaTruzzi1

Da Il Fatto Quotidiano del 17 aprile 2013 

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