Giorgio Napolitano ha concesso la grazia al colonnello Joseph Romano, condannato per il sequestro Abu Omar (leggi l’articolo). Pubblichiamo l’articolo del Fatto Quotidiano con i retroscena dell’incontro Obama-Napolitano del febbraio scorso.

Obama ha chiesto la grazia per i 23 agenti americani condannati in via definitiva per il sequestro Abu Omar. E Giorgio Napolitano, stretto tra la richiesta americana, la scadenza del suo mandato, le problematiche politiche di un simile gesto e le azioni legali pendenti davanti alla Cassazione e alla Consulta, sta meditando sul da farsi. I tempi sono stretti: a fine aprile Giorgio Napolitano lascerà il posto a un nuovo presidente eletto da un Parlamento imprevedibile e del quale gli americani non si fidano. L’eccezione italiana deve essere sanata dall’amico Giorgio. Di tutti i sequestri orditi dalla Cia e scoperti nel mondo, dalla Germania alla Svezia, il nostro Paese è l’unico che può vantarsi di avere condannato in via definitiva 23 americani e in appello altri tre agenti segreti, compreso Jeffrey Castelli, ex capo della Cia in Italia, perché erano a vario titolo coinvolti nelle cosiddette rendition.

Gli americani ovviamente non la mandano giù e, fidando in un patto scritto o tacito esistente tra i due Paesi che legittimava il sequestro, ritengono che il tradimento dei giudici italiani debba essere sanato. Dopo la condanna della Cassazione nei confronti del capo stazione della Cia di Milano, Robert Seldon Lady, di 22 agenti e del colonnello dell’esercito Joseph Romano, difeso dall’avvocato Cesare Bulgheroni, come scritto anche dall’ambasciatore a Washington Claudio Bisogniero in un cablo del 21 settembre 2012, alla Farnesina, svelato da Sigfrido Ranucci di Report, si aspettano un “segnale”. Scrive l’ambasciatore: “Si tratta di dare a Washington un segnale che l’Italia pur nell’assoluto rispetto delle sentenze, intende operare insieme agli Stati Uniti per gli sviluppi futuri”. Stufi delle promesse. Sbigottiti dal balletto di sentenze, quelle della Corte Costituzionale favorevoli al segreto di Stato e quelle di appello e Cassazione che ne riducono la portata, gli americani guardano al sodo. Ci sono 23 uomini, compreso l’ex capo della Cia a Milano, inseguiti da un mandato di arresto che rischiano la galera se entrano in Europa. Obama non può più aspettare. A Napolitano lo ha detto chiaramente: gli Usa vogliono la grazia. E la vogliono subito. Il prossimo capo di Stato potrebbe essere Romano Prodi che già una volta oppose il segreto di Stato ai magistrati italiani ma potrebbe essere anche un personaggio ostile, magari eletto con i voti di Sel e di Grillo.

Il Corriere della Sera con Maurizio Caprara ha scritto il vero: “Non era scontato che un presidente italiano verso fine mandato ricevesse la considerazione che Napolitano, ospite di Obama, ha avuto a Washington”. E non era scontato nemmeno che il segretario di Stato della prima potenza mondiale organizzasse il transatlantic dinner della prossima settimana proprio a Roma. Tutto si tiene perché non è scontato nemmeno che Giorgio Napolitano conceda la grazia a 23 statunitensi condannati in via definitiva per avere sequestrato in pieno giorno a Milano il religioso egiziano, Hassan Mustafa Osama Nasr, conosciuto con l’appellativo di Abu Omar, il 17 febbraio 2003. Abu Omar era indagato per presunti rapporti con il terrorismo islamico nel clima di terrore succesivo all’attentato dell’undici settembre 2011. Ma fino a prova contraria, a differenza dei 23 americani condannati dalla Cassazione, resta una vittima innocente. Il religioso egiziano fu portato via con la forza dal territorio italiano con la complicità – secondo i magistrati – dei nostri servizi di sicurezza, capeggiati allora dal generale Niccolò Pollari. Poi fu imbarcato su un aereo e condotto infine in un carcere in Egitto, dove venne torturato e poi riarrestato perché aveva osato raccontare tutto alla moglie in una telefonata intercettata. Durante i colloqui di venerdì scorso a Washington il presidente degli Stati Uniti ha chiesto a Giorgio Napolitano di valutare l’ipotesi di concedere la grazia ai 23 condannati condannati definitivi, per poi aprire la strada alla medesima soluzione per gli altri tre funzionari compreso l’ex capo della Cia in Italia Jeff Castelli, per i quali è stata appena depositata venerdì scorso la motivazione della condanna di appello.

Al di là del coinvolgimento dell’Italia nello scacchiere mediorientale, è questa la vera molla dell’improvvisa passione americana che restringe le due sponde dell’Atlantico alla vigilia della fine del mandato di Napolitano. Gli Stati Uniti hanno scoperto le doti dell’ex comunista a cui nel 1975 negarono il visto, perché sanno che l’ultimo scampolo del settennato potrebbe essere l’ultima occasione per i loro sequestratori di Stato. Il Fatto ha posto, mediante il portavoce del presidente della Repubblica, Pasquale Cascella, la seguente domanda: “Gli americani hanno parlato al presidente Napolitano dell’eventualità a loro gradita di concedere la grazia? E qual è l’orientamento del Quirinale al riguardo?”. Cascella ha risposto via sms: “Una domanda sostanzialmente analoga è stata rivolta al presidente nel corso della conferenza stampa a conclusione della visita (…). La registrazione dell’intero incontro con i giornalisti è su un blog”.

La risposta alla domanda dell ’Ansa sul possibile atto di Napolitano per “eliminare l’unico neo alle relazioni Italia-Usa”, cioè la condanna degli agenti americani, è stata né negare né confermare l’ipotesi della grazia. Il presidente ha premesso che “la questione è all’attenzione dei collaboratori dei ministeri della giustizia”. Poi ha aggiunto: “La cosa più importante, e questo io ho ritenuto di doverlo segnalare (a Obama, ndr), che è stato sollevato un conflitto di attribuzione contro l’interpretazione che la Corte di Cassazione ha dato della sentenza della Corte Costituzionale sul segreto di Stato. Quindi è materia ancora aperta in Italia perché dall’esito di questo conflitto davanti alla Corte Costituzionale potranno discendere delle conseguenze”. Insomma alla richiesta di grazia di Obama, Napolitano ha risposto chiedendo agli Usa di aspettare la decisione della Corte Costituzionale che potrebbe annullare la sentenza di condanna risolvendo il conflitto di attribuzione in senso favorevole al presidente del Consiglio Mario Monti e dando torto ai giudici.

L’annullamento permetterebbe alla Cassazione di emettere una nuova sentenza di annullamento della condanna e il “neo” sarebbe eliminato. L’avvocato Matilde Sansalone che difende due dei tre imputati americani condannati in appello nella sentenza depositata venerdì e sei degli imputati condannati in Cassazione nel 2012 spiega: “Non so nulla di una richiesta di grazia che potrebbe peraltro essere presentata solo dopo che la sentenza è divenuta definitiva, cosa che per ora riguarda solo i miei sei assistiti del processo chiuso in Cassazione. Non ho ricevuto una sola telefonata dall’ambasciata americana né dai miei assistiti. Anche se va detto che non necessariamente la richiesta di grazia deve passare dal legale”.

Sul percorso alternativo suggerito a Obama da Napolitano, cioè attendere la soluzione del conflitto di attribuzione davanti alla Consulta, l’avvocato Sansalone è scettica: “Avrebbe effetti diversi per le diverse posizioni dei condannati e degli imputati. La grazia invece chiuderebbe il discorso”. La grazia avrebbe effetti anche per gli italiani coinvolti, a partire dal generale Pollari. Il suo difensore, Titta Madia spiega: “La Cassazione dovrà annullare la sentenza di appello contro Niccolò Pollari perché la Corte Costituzionale in ben due occasioni si è espressa chiaramente sulla questione del conflitto di attribuzione; e presto si esprimerà ancora nel senso invocato dall’Avvocatura di Stato e cioè che quanto attiene ai rapporti tra servizi Usa e Italia nel caso Abu Omar deve essere ricompreso nel segreto di Stato”.

Da Il Fatto Quotidiano del 22 febbraio 2013