Amianto sugli aerei, amianto sulle coperture degli hangar, amianto perfino nelle tute antincendio. “C’è stato un utilizzo massiccio di amianto nell’aeronautica militare, prima della messa al bando nel 1992 ma anche dopo”. A dirlo Nicola Panei, coordinatore dell’Osservatorio nazionale amianto per il comparto militare. “In molti – racconta – abbiamo indossato finanche le tute antincendio in amianto, indossate sulla pista di volo per il soccorso aereo e nelle varie assistenze ed in particolare nelle esercitazioni. Tutto questo senza essere mai avvisati dai diretti superiori della pericolosità, senza l’adeguata sorveglianza sanitaria prevista da varie leggi e direttive, mai applicate, e senza i previsti dispositivi di sicurezza”. In alcuni siti dell’aviazione militare ancora persistono coperture in cemento amianto, come a Guidonia, vicino Roma, dove qualche anno fa è stato posto sotto sequestro, su ordine della Procura di Padova, un hangar perché aveva delle coperture in eternit. L’adeguata sorveglianza sanitaria era già prevista per legge addirittura dal 1965, ma “solo negli ultimi anni i lavoratori sono stati soggetti a visita ed è stata compilata la relativa cartella sanitaria di rischio”.

Anche il generale Aristide Lombardi, ufficiale medico dello Stato maggiore dell’Aeronautica, ha confermato la presenza, ancora oggi, di amianto negli aeroplani civili e militari. “E’ sotto la luce del sole, l’amianto era ed è ancora presente in alcune componenti di aerei militari e civili”, ha dichiarato il generale alcuni giorni fa ad affaritaliani.it.

Decine di militari hanno contratto tumori che possono essere riconducibili all’esposizione all’amianto. L’avvocato Ezio Bonanni, presidente dell’Ona, ha presentato esposti in procura e richieste di riconoscimento di malattie professionali e maggiorazioni contributive per l’esposizione ad amianto. “Ci sono tre casi di ex militari – sottolinea Bonanni – che hanno contratto il mesotelioma, tumore tipico da esposizione all’amianto, da qualche mese all’attenzione della Procura della Repubblica. Poi sono in piedi moltissime cause innanzi alla Corte dei Conti, finalizzate ad ottenere l’accredito delle contribuzioni per esposizione ad amianto”. Tra le denunce quella di Nunzio Pierini, classe 1949, in aeronautica militare per circa trent’anni, un mesotelioma riscontratogli nel 2011. Nella sua querela presentata alla procura di Padova sono allegati una serie di atti e relazioni tecniche dell’Istituto Superiore di Sanità che “dimostrano in modo incontrovertibile l’utilizzo di amianto nel settore aereo dell’aeronautica militare, in assenza di qualsiasi misura di salvaguardia della incolumità psicofisica”. A rafforzare questa ipotesi sono allegate una serie di sentenze che certificano la correlazione tra la presenza di amianto in ambiente militare e varie forme tumorali contratte dai lavoratori.

Una istanza ufficiale poi, presentata da Bonanni al ministero della Difesa, ha determinato il rilascio del curriculum lavorativo di Pierini, nel quale, in linguaggio burocratese, si trova scritto che “lo stesso dipendente è stato adibito, in modo diretto e abituale, alle attività lavorative previste dalle norme di attuazione dell’articolo 47 del decreto legge 269 del 2003”, cioè la norma che riguarda il riconoscimento dei benefici contributivi per esposizione ad amianto, perché sia depositato all’Inail. L’attestato è stato firmato dal generale dell’aeronautica Militare, Claudio Manna, e certifica che il Pierini ha svolto il ruolo di manutentore meccanico degli aeroplani e che per le sue mansioni ha manipolato l’amianto. “Per la prima volta nel nostro Paese, l’aeronautica militare ammette formalmente l’esposizione all’amianto dei militari – dichiara Bonanni – ma la strada per la verità e la giustizia purtroppo è ancora lunga”.

Pierini sta ancora aspettando, come altri militari, il riconoscimento della “dipendenza da causa di servizio” richiesta il 21 dicembre 2011. Dopo oltre 9 mesi è arrivato un segnale dal ministero della Difesa: “E’ stata trasmessa al Comitato di Verifica per le Cause di Servizio la relazione per il riconoscimento della dipendenza della/e infermità denunciate dal nominato in oggetto”, si legge nella nota. Tempi biblici della burocrazia italiana che non si fermano neanche davanti alla vita di una persona. Dopo due cicli di chemioterapia con esito negativo Pierini ha chiesto di poter ricorrere a terapie sperimentali del GiMe, il Gruppo italiano mesotelioma, coordinato dal professor Luciano Mutti, presidente dell’associazione e membro del comitato tecnico-scientifico dell’Ona, che hanno già dimostrato la loro efficacia su altri pazienti. “Il 5 settembre scorso ho chiesto espressamente al ministro della Salute, Renato Balduzzi – spiega Pierini – di poter sottoporre il sottoscritto alla necessaria cura, a carico del Sistema sanitario nazionale. Esistono già dei protocolli sperimentali per questa cura, ma poiché già sono stato trattato con due protocolli chemioterapici, non posso essere inserito in quello sperimentale. E’ l’ultima spiaggia per me – dichiara disperato Pierini – l’onere economico per questo tipo di terapia è di circa 3500 euro al mese e non saprei proprio come fare se dovessi pagarmi personalmente le cure”. Al momento non c’è stata nessuna risposta da parte del ministro e di tempo per Pierini, come per tanti altri militari, non ne è rimasto molto.

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