Sono disposti a incatenarsi davanti a Palazzo D’Accursio e a presidiare Piazza Nettuno a oltranza. Perché il 17 ottobre la cassa integrazione straordinaria finirà e per i 41 operai dell’ex Manifattura tabacchi non c’è nulla dopo. Cinque mensilità di stipendio, la mobilità e poi la disoccupazione. “Che a quaranta o cinquant’anni, sembra una condanna – spiega Paola Ferrigno, delegata Fiom, in azienda dal 1998 – siamo qui davanti al Comune per ricordare alle istituzioni, Giunta, Regione e Provincia che il lavoro che ci avevano promesso non c’è, e che devono darci risposte”.

La vicenda dei 41 operai iniziò nel lontano 2003, quando la Manifattura Tabacchi, all’epoca Monopoli di Stato, passò nelle mani della Bat Italia, una divisione della British American Tobacco, che già un anno dopo, nel 2004, annunciò la chiusura dello stabilimento. La Regione decise di acquistare il terreno dove sorge la fabbrica, circa centomila metri quadri pagati 19 milioni di euro,  per realizzarci il Tecnopolo, che sarebbe dovuto divenire un’eccellenza specializzata in ricerca e nuove tecnologie. “Affissero una targhetta con scritto ‘Tecnopolo di Bologna’ con tanto di logo dell’Unione Europa e ci sentimmo immediatamente più tranquilli” racconta Federico Capelli, operaio dal 2002. Ma il progetto non è mai nemmeno cominciato.

I dipendenti, nell’aprile del 2009, vennero assunti dalla Bv Tech, azienda informatica, che avrebbe dovuto riconvertirne la professionalità con corsi di formazione di 1000 ore a testa, costati circa 330.000 euro, soldi pubblici, “puramente teorici e per questo inefficaci” raccontano gli operai. Poi però nel marzo 2010 la formazione si interruppe e i lavoratori vennero messi in cassa integrazione. Solita trafila, ordinaria, straordinaria e mobilità. “Peccato che a garantirci che nessuno sarebbe stato lasciato a casa c’erano proprio loro, le istituzioni – ricorda Antonia – c’era il sindaco Virginio Merola, allora assessore all’Urbanistica e anche Duccio Campagnoli, che oggi, mentre siamo qui a manifestare, inaugura la fiera Cersaie”.

I lavoratori, però, non sono disposti a cedere, non senza una risposta che spieghi loro “cosa succederà”. “Siamo operai di 40 o 50 anni, come tutti abbiamo un mutuo, una famiglia, un affitto da pagare, non siamo più ragazzini, con la disoccupazione che c’è che fine faremo?”. L’unica soluzione, almeno per i 41 ex dipendenti dell’ex Manifattura, è “farsi notare”, perché solo così “qualcuno potrebbe muovere un dito per noi. Mantenere quella promessa a cui noi abbiamo creduto, il lavoro, che poi è tutto ciò che chiediamo. Poter lavorare”.

Quindi ogni giorno, “almeno finché qualcuno non deciderà di affacciarsi alla finestra e spiegarci dov’è finito lo Stato”, manifesteranno in una delle piazze italiane simbolo delle lotte dei lavoratori, presidieranno e si recheranno in Comune gridando “lavoro! Lavoro!”. “Abbiamo depositato anche un esposto in Procura – spiega la Ferrigno – perché troppe cose non tornano”. In primis l’atteggiamento della Regione, garante di quel processo di formazione e reinserimento lavorativo iniziato male e mai concluso.

“Se aspettano un gesto eclatante che li convinca a intervenire, l’avranno”. Promettono i 41, armati di striscioni e megafoni.

“E pensare che noi, dieci anni fa, ci licenziammo dal Panificio Corticella in cerca di una posizione più sicura, di una vita migliore – ricordano Antonia e Federico – ma che vita è questa?”.

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