Cultura

In libreria “A Est del Nordest. In spider alla conquista della Romania e altri racconti”

Tremila chilometri per varcare il Danubio e “conquistare” il Far East. Il racconto di viaggio di Maurizio Crema in Romania, Moldavia e Transnistria partendo da Venezia e passando dai Balcani. Un progetto che diventerà anche un documentario. Ecco un'anticipazione del capitolo sulla Transnistria e un video

di RQuotidiano

«I grandi magazzini Sheriff? Le pompe di benzina? La concessionaria Mercedes? La fabbrica tessile? L’acciaieria, i cementifici? Ristoranti, discoteche, perfino la squadra di calcio, tutto è suo. Senza il suo sì qui non puoi far niente, per questo tutto è ordinato, in regola. Qui la corruzione non esiste». In compenso potrebbero furoreggiare traffici di armi, droga, donne, organi, adozioni illegali. Ma lui fa spallucce, non ci crede: «Tutta propaganda negativa, come i servizi delle Iene in tv, girati in Moldova». Sergio Luciano è un italiano del Sud sulla quarantina che con Lenin ha in comune una bella pelata e che tre anni fa ha deciso di trasferirsi a vivere a Tiraspol dopo aver bazzicato per anni in Moldova, a Chişinău. Ebreo osservante, scorrazza tra Ucraina, Transnistria e chissà quanti altri posti di quest’Europa di confine a caccia di affari (lavora nel campo dell’abbigliamento, c’entra con la produzione a Tiraspol della Moncler, ma non solo) e anche di fidanzate: «Ne ho un paio a Chişinău, una a Tiraspol, un’altra a Odessa», dice questo maschio italiano vero accarezzandosi la pancia accentuata. «Qui hai davanti a te solo tre risposte se vuoi fare affari: no, sì, e partecipo anch’io» spiega infervorato. «Perché qui sono pronti a metterci i soldi se credono nel progetto, non come in Moldova che ti dicono investi e poi cercano di fregarti l’affare o di prosciugarti con bustarelle varie. È semplice: se a lui [cioè a Smirnov, n.d.A.] vai bene entri, altrimenti sei out. E ora vuole aprirsi al mondo, vuole che arrivino gli investitori dall’estero, anche dall’Italia».

Per questo ci ha portato a visitare una vecchia fabbrica di carri armati poi diventata di camion e oggi di semoventi per granaglie: la Dhecmp Aemo (tradotto dal cirillico), Dnestrauto. Un posto cadente che lui magnifica: «Vedi è tutto pulito, ti sfido a trovare una carta per terra, olio e ruggine sono banditi». Effettivamente tranne nell’ultima ala della fabbrica, dove i vetri rotti ci sono, il resto sembra in ordine. In ordine e anche in gran parte vuoto. «Vent’anni fa lavoravano duemila persone, ora siamo rimasti in duecento», spiega Petr Kirilovich, vice direttore della fabbrica, un bulgaro di qui (c’è anche questa minoranza in questo lenzuolo di Stato incuneato tra Ucraina e Moldova). E i macchinari come le strutture, gli uffici, i bassorilievi, tutto sembra essersi fermato al 1991, quando ancora c’era l’URSS caro lei, tranne il castello di Bender, la città dall’altra parte del Nistro che i moldavi chiamo Tighina e i russi hanno conquistato dopo una battaglia nel 1991. Le sue torri spuntano dalle grandi vetrate della fabbrica che confina assurdamente con questa fortezza fondata nel XV secolo da Ştefan cel Mare, fatta possente da Solimano il Magnifico alla metà del secolo dopo e conquistata dai russi alla fine del XVIII secolo grazie anche al barone di Münchausen, che qui si sparò sulla palla di cannone per far vincere le truppe del principe Potemkin, anzi del Serenissimo Principe Potemkin Tavriceskij (cioè di Tauria-Crimea), sposo segreto della zarina Caterina II. All’inizio di quel secolo anche gli svedesi spiaggiarono da queste parti, cercando di battere i russi dello zar e finendo per perderci il loro re Carlo XII.

Smirnov è orgoglioso di tutte queste storie e ha deciso di far sgombrare i militari da quella che è ancora per metà una loro base per iniziare restauri faraonici alle lunghe mura e alle otto torri superstiti, finanziando anche la creazione di un museo e l’erezione di busti e statue a tutti i grandi generali. E il barone s’è conquistato un suo angolo nel sacrario del Grande Capo, compreso di busto e lapidi che spiegano le sue gesta di allucinato soldato finito sulla luna e non solo. Ma i resti delle migliaia di soldati che perirono qui per difendere o conquistare questo avamposto strategico per commerci e domini (alla foce del Nistro, settanta chilometri da qui, sorge il castello di Moncastro o Maurocastro, ex colonia di Venezia sul Mar Nero) sono stati piazzati all’inizio della città, in un sacrario con tombe di tante guerre, anche dell’ultima che produsse 486 “martiri”, almeno stando alla fanfara del regime. Civili e soldati che combatterono ex fratelli comunisti riuscendo a scamparla grazie a fratelli russi, quella XIV armata che oggi sembra essere stata in gran parte sgomberata, ne rimangono solo cinquecento di soldatini.

Chissà che questi vecchietti timidi sotto il testone di Lenin non fossero dei suoi vent’anni fa. Abbiamo cercato di scoprirlo con domande e gesti finendo per essere quasi arrestati dagli agenti di guardia al Soviet Transnistro. Per fortuna eravamo stati ben indottrinati: «Rispondete sempre che siete turisti», ci aveva detto Luciano. E noi lo ripetemmo a tutti quelli che ce lo chiesero, anche al baffone che doveva decidere della nostra sorte: guardina o libertà? Decise che eravamo troppo stupidi, lì, sotto Lenin e il sole con macchina fotografica e videocamera, per essere veramente pericolosi. Meglio così. E il traffico d’armi descritto in un servizio delle Iene? «Perché dovrebbe sporcarsi le mani Lui con quegli affari? Controlla già metà del PIL della Pridnestrovie, ha un patrimonio personale stimato in tre o quattro miliardi di dollari (l’altra valuta che conta da queste parti), volete che si sporchi le mani con queste inezie? La verità è che a tutti, Moldova, Ucraina, Russia, Europa, fa comodo che Lui comandi e che questo Stato esista, perché qui la gente vive, studia, fa figli, affari, quindi a differenza di quello che pensano tutti, la Transnistria c’è». E combatte insieme a Lui con le sue ragazze dal tacco dodici anche per comprare il pesce dai camion cisterna. Ma hai voglia a mostrarti altera e sculettante tra vecchie auto zigulì e nuovi suv neri. Questo posto sospeso nel limbo dell’ultimo Soviet rimane una gabbia grigia sull’orlo del disfacimento, con i ragazzi costretti a pascolare le pecore in periferia in mezzo a un ex bunker sovietico e alla sporcizia, le fabbriche che stanno in piedi per miracolo e gli imprenditori come Vyacheslav Driglov che non vede l’ora di trovare sponde occidentali per far decollare la sua software house, e i sindaci di campagna che devono implorare i preti italiani come il padovano don Sergio di creare strutture sociali, oratori, mense, ospedali nei loro paesi perché il Grande Fratello pensa ad altro. Forse invidia il barone di Münchausen e vorrebbe finire in orbita con una Soyuz come hanno già fatto altri ricconi prima di lui.

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