Il boss Domenico Oppedisano

Chiuse le indagini per l’inchiesta “Crimine”. La Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria ha notificato l’avviso a 161 indagati, la maggior parte dei quali finiti in carcere il 13 luglio scorso durante il blitz che ha stroncato le principali famiglie mafiose reggine. Un’inchiesta intrecciata a doppia mandata con l’indagine “Infinito”, coordinata dal procuratore aggiunto di Milano Ilda Boccassini che ha aperto uno squarcio sugli interessi della ‘ndrangheta in Lombardia.

Con “Crimine”, il procuratore Giuseppe Pignatone, l’aggiunto Nicola Gratteri e i sostituti Antonio De Bernardo, e Giovanni Musarò hanno svelato l’assetto della ‘ndrangheta. Certamente diverso da quello di Cosa Nostra siciliana ma ugualmente articolato. Pur mantenendo una struttura orizzontale, non ci sono più un insieme di cosche, famiglie o ‘ndrine scoordinate e scollegate tra di loro, ma un’organizzazione di “tipo mafioso, segreta, fortemente strutturata su base territoriale, articolata su più livelli e provvista di organismi di vertice”. Il vertice è rappresentato dalla “Provincia” o “Crimine”, del quale facevano parte le famiglie mafiose dei tre mandamenti (tirrenica, jonica e Reggio Calabria città) all’interno dei quali si muovono i “locali”.

C’è poi il quarto mandamento, quello della “Lombardia”, che raggruppa tutti i “locali” che operano nella ricca regione del Nord Italia ma che dipendono comunque dalla Calabria. È lì, in fondo allo stivale, nella culla della ‘ndrangheta che si prendono le decisioni importanti come quella di reprimere nel sangue ogni tentativo autonomista dalla “casa madre”. Proprio come è stato per l’omicidio del boss Carmelo Novella, ucciso per le sue velleità separatiste. Detenuto nel supercarcere di Parma, anche al “capo crimine” Domenico Oppedisano, 81 anni, è stato notificato l’avviso di conclusione indagini.

La Dda di Reggio ha dimostrato la caratteristica unitaria della ‘ndrangheta. Don Mico Oppedisano non era certamente un capo assoluto dell’onorata società calabrese. Era stato nominato “capo-crimine” nel settembre de 2009, in occasione della festa di Polsi, ma non poteva prendere decisioni autonome. Piuttosto era una figura “super partes” individuata anche in base all’età e all’esperienza. A lui, in sostanza, spettava il compito di dirimere i contrasti che potevano sorgere tra le cosche mafiose. Mantenere quell’equilibrio labile che ha portato la ‘ndrangheta ad essere l’organizzazione mafiosa più pericolosa al mondo, leader del narcotraffico internazionale.

L’incoronazione di don Mico, come è stato documentato dalle immagini riprese da carabinieri e polizia, avvenne nel 2009 durante una riunione svoltasi in un’area limitrofa al Santuario di Polsi. L’occasione è quella del matrimonio tra Elisa Pelle (figlia di Peppe Pelle “Gambazza”) e Giuseppe Barbaro (figlio del defunto Pasquale Barbaro della famiglia “u Castanu”). Per l’eccessivo numero di invitati, il ricevimento si è tenuto in due diversi ristoranti, il Parco d’Aspromonte di Platì e l’Euro Hotel di Marina di Ardore, dove si sono riuniti i rappresentanti dei “locali” di ‘ndrangheta siti sia in Italia che all’estero.

Un vertice epocale in cui Domenico Oppedisano di Rosarno, «su proposta di Gattuso Ciccillo e con qualche divergenza di Pelle Giuseppe, poi superata dall’intervento di Giampaolo Giuseppe, ha ricevuto la carica più prestigiosa ossia quella di “Capo Crimine”» Gli incontri avvenuti nel campo antistante il casolare di Oppedisano hanno consentito agli inquirenti di conoscere in anticipo il luogo e la data del summit.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali, inoltre, gli investigatori sono riusciti a ricostruire i singoli ruoli ricoperti dai 161 indagati all’interno della ‘ndrangheta. Fondamentali, in questo senso, si sono rivelate le cimici piazzate a Siderno all’interno della lavanderia di Giuseppe Commisso, detto “u Mastru”. A lui si rivolgevano gli affiliati della zona jonica reggina, ma anche l’ex sindaco di Siderno Alessandro Figliomeni, arrestato a dicembre con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso. Un filone dell’inchiesta “Crimine”, infatti, ha inquadrato Figliomeni (detenuto a Parma) come un componente a tutti gli effetti della “società” di Siderno.

Stava progettando di trasferirsi in Australia con la famiglia dove la cosca Commisso, padrona incontrastata del paesino della Locride, era radicata da decenni come ha dimostrato poche settimane fa l’operazione “Crimine 2” nell’ambito della quale è stato arrestato Tony Vallelonga, l’ex sindaco di Stirling. Originario di Nardodipace in provincia di Vibo Valentia, Vallelonga era stato eletto con l’80% dei voti in una cittadina di 200 mila abitanti. Principalmente quelli dei calabresi emigrati e della ‘ndrangheta di cui, secondo gli inquirenti era “uomo di vertice del locale” australiano.

Voti, appalti, estorsioni, riti di affiliazione. Il faro della Procura punta sui 161 indagati che, nei prossimi giorni gli indagati decideranno se farsi interrogare o meno dai magistrati che, ad aprile, formuleranno la richiesta di rinvio a giudizio.

IL DISOBBEDIENTE

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