l'armadio degli scheletriSiccome, qualunque cosa io dica in televisione su qualunque argomento dello scibile umano, mi sento rispondere che devo stare zitto perché sono un pregiudicato, oppure perché sono andato in vacanza in compagnia e/o a spese di mafiosi, o comunque ho frequentato personaggi poco raccomandabili, vorrei qui dimostrare una volta per tutte, documenti alla mano, che non è vero niente.

Le condanne

Premessa: per un giornalista, le condanne per diffamazione sono incerti del mestiere, come i tamponamenti per un tassista che passa la sua giornata in automobile, come le uscite fuori pista per i piloti di formula uno, come le papere per un portiere o i gol sbagliati per un centravanti. E’ noto, infatti, che chi scrive tutti i giorni uno o due o anche tre articoli, con i tempi stringenti del quotidiano, può incappare in errori, omissioni, imprecisioni, casi di omonimia, inesattezze. La qual cosa è accaduta più volte anche a me. Ma le diffamazioni non nascono soltanto da informazioni errate o parziali: nel nostro Codice penale, non c’è purtroppo differenza fra una notizia sbagliata e un commento esagerato, anzi ritenuto esagerato dal giudice nel suo insindacabile e soggettivo giudizio. Questo secondo incerto del mestiere è molto più ricorrente negli articoli di chi, per esercitare fino in fondo il diritto di critica e spesso anche la libertà di satira, cammina sempre sul filo del rasoio e può sempre incappare in un giudice di manica stretta, che vede la diffamazione anche in una battuta un po’ forte o in un giudizio un po’ tagliente. Può darsi che in futuro, per l’una e l’altra specie di diffamazione, io venga condannato in via definitiva da un giudice penale. Al momento sono spiacente di deludere i miei detrattori, ma in 25 anni di carriera giornalistica, durante i quali ho scritto una trentina di libri e dai 15 ai 20 mila articoli, tenendo dalle 1500 alle 2000 conferenze e incontri di vario genere in giro per l’Italia, partecipando a circa 150 trasmissioni televisive e radiofoniche, diffondendo decine di filmati via internet, non ho mai subìto alcuna condanna definitiva. Lo ripeto: non ci sarebbe nulla di disdicevole in una condanna (a meno che non si accertasse che ho mentito sapendo di mentire, raccontando consapevolmente notizie false e tradendo così la fiducia del lettore o del telespettatore). Ma, almeno finora, questa condanna definitiva non è arrivata. Come dimostra il mio casellario giudiziale rilasciato lo scorso anno (e rimasto inalterato, visto che da allora non ho subìto sentenze negative dalla Cassazione penale) e riportato qui sotto.

Tutt’altro discorso meritano le cause civili per risarcimento dei danni, che portano a un processo del tutto diverso da quello penale: nessuna indagine per accertare i fatti, solo la fredda quantificazione del danno, morale e/o patrimoniale e/o biologico. Paradossalmente, si può danneggiare qualcuno ed essere condannati a risarcirlo anche se si è scritta la verità sul suo conto, ma non lo si è fatto con la necessaria “continenza” espressiva. E io, lo ammetto, di fronte a certe vergogne, divento incontinente. Nel qual caso, se un giudice mi ritiene tale a suo  insindacabile e soggettivissimo giudizio, non mi resta che pagare (anche se la condanna è solo in primo grado, si paga subito e poi si vede nei gradi successivi: solo Berlusconi e la Fininvest nel caso Mondadori ottengono di non risarcire subito la Cir di De Benedetti). Mi è capitato con Cesare Previti (avevo scritto che era indagato, e lo era, ma l’avvocato non aveva portato le carte al giudice per dimostrarlo, in quanto il giornale su cui scrivevo nel frattempo era fallito), con Giuseppe Fallica (ero incappato in un caso di omonimia), col giudice Filippo Verde (avevo scritto “più volte condannato” nel senso del primo e del secondo grado, mentre il giudice ha inteso due volte condannato in via definitiva) e con Confalonieri (avevo scritto che doveva vergognarsi, ma con un’espressione giudicata troppo violenta, e che era coimputato con Berlusconi, ma usando un’espressione giudicata insufficiente a far capire che lo era per un reato diverso da quello contestato al Cavaliere). Qualche sentenza, a leggerla, lascia esterrefatti: ma mi limito a non condividerla, senza gridare al complotto delle toghe azzurre.

Le vacanze
Sono amico da una decina d’anni di quello che ritengo uno dei più preparati e specchiati magistrati d’Italia: Antonio Ingroia, già pupillo di Paolo Borsellino, da sempre impegnato in indagini antimafia. I nostri figli e le nostre mogli sono diventati anch’essi amici, tant’è che da alcuni anni trascorriamo insieme le vacanze. E’ un’amicizia che mi onora e di cui vado fiero. Fino all’estate del 2003, collaborava con Ingroia – come ufficiale di polizia giudiziaria assegnatogli dalla Guardia di Finanza – il maresciallo della Dia Giuseppe Ciuro, esperto in indagini antimafia fin dai tempi in cui lavorava con Giovanni Falcone.

Ciuro era un tipo simpatico e iperattivo, conosciuto da tutti i giornalisti che seguono i processi e le indagini di mafia in Sicilia. Anch’io lo conobbi e nel 2002, dovendo organizzare le mie vacanze con la famiglia Ingroia, accolsi il suo suggerimento di trascorrerle presso un hotel di Trabia (Palermo), il “Torre Artale”, che distava pochi chilometri dal residence “Golden Hill” di Altavilla Milicia dove sia la famiglia Ciuro sia la famiglia Ingroia occupavano da due anni due separati villini (Ciuro ne possedeva uno, Ingroia ne affittava un altro). A fine soggiorno, se non ricordo male di due settimane o forse qualche giorno di più, pagai regolarmente il conto, in parte con la carta di credito (2 mila euro versati il 18 agosto 2002), in parte con un assegno bancario (da 2.526,70 euro, emesso il 19 agosto 2002 dal mio conto presso il San Paolo-Imi di Torino e poi negoziato dal Banco di Sicilia).

L’importo, fra l’altro, era notevolmente superiore a quello del preventivo inizialmente inviatomi dai responsabili dell’hotel (4500 euro a fronte di un preventivo di circa 3 mila). Lo dissi a Ciuro, visto che conosceva i gestori dell’albergo (all’epoca in amministrazione giudiziaria), ma pagai il dovuto e la cosa finì lì.

L’anno seguente, estate del 2003, dopo due settimane trascorse a Sciacca (Agrigento), raggiunsi con la mia famiglia gli Ingroia al residence Golden Hill, affittando un bungalow dai proprietari che non lo occupavano, e vi rimasi dieci giorni. Il bungalow era sprovvisto del necessario per abitarlo (caffettiere, cuscini, posate) e i vicini – compresa la signora Ciuro – mi prestarono gentilmente le cose mancanti. Passati i dieci giorni, pagai l’affitto di 1000 euro con assegno bancario (datato 16 agosto 2003, stessa banca).

Qualche mese dopo, ai primi di novembre del 2003, Ciuro fu arrestato insieme a un altro maresciallo del Ros e al costruttore Michele Aiello, proprietario di cliniche convenzionate con la regione e sospettato (lo si seppe in quel preciso momento) di collusioni con la mafia: l’accusa per Ciuro era di aver venduto informazioni ad Aiello sulle indagini condotte a suo carico dalla Procura di Palermo. Seppi poi da Ingroia che lui era al corrente delle indagini su Ciuro fin da prima dell’estate, ma che – d’intesa con il procuratore capo, Piero Grasso – aveva dovuto continuare a comportarsi con lui come se nulla fosse, per non destare sospetti. Essendo un magistrato scrupoloso e irreprensibile, non aveva fatto parola della cosa con me. Da quel momento, interruppi i rapporti con Ciuro, che fu poi condannato in primo e secondo grado con rito abbreviato per favoreggiamento semplice nei confronti di Aiello (le più gravi accuse, inizialmente mossegli al momento del suo lunghissimo arresto, di concorso esterno in associazione mafiosa e di favoreggiamento aggravato dall’intenzione di favorire Cosa Nostra, caddero entrambe nel corso del processo).

Due anni fa, ignoro per quali motivi, misteriose “fonti vicine all’inchiesta” della Procura di Palermo informarono Giuseppe D’Avanzo, vicedirettore di Repubblica, che Aiello e il suo avvocato sostenevano che Aiello avrebbe pagato, su richiesta di Ciuro, le mie vacanze al Golden Hill nel 2003. D’Avanzo lo scrisse su Repubblica all’indomani di una mia dichiarazione sul neopresidente del Senato, Renato Schifani, a “Che tempo che fa” di Fabio Fazio. Io smentii subito tutto e mi impegnai a dimostrare che tutte le mie vacanze siciliane le avevo pagate io fino all’ultimo centesimo. Non appena rintracciai i due assegni e l’estratto conto della carta di credito, li pubblicai sul mio blog voglioscendere.it (li ripubblico qui sotto) e pretesi le scuse da chi mi aveva diffamato e calunniato. Scuse che sto ancora aspettando.

Invece delle scuse, continuo a subire reiterazioni di calunnie. Non più, fortunatamente, da D’Avanzo (che, anzi, mi ha difeso su Repubblica dalle deliranti accuse di Fabrizio Cicchitto il quale, in piena Camera dei deputati, mi ha additato come “mandante morale” dell’aggressione al premier in piazza Duomo il 13 dicembre 2009). Ma dagli house organ della famiglia Berlusconi (famiglia di molto allargata) e dai suoi trombettieri, che per infangare la mia reputazione omettono sistematicamente di prendere atto dei documenti con cui ho dimostrato la correttezza del mio operato.

Quindi, ricapitolando: non ho mai fatto vacanze a spese altrui, men che meno di mafiosi o sospetti mafiosi; non ho mai frequentato mafiosi o sospetti mafiosi; nessuna delle persone che ho frequentato è stata mai condannata per mafia o per reati di stampo mafioso, anzi Ciuro, finchè l’ho frequentato per la sua vicinanza con un magistrato mio amico, era un insospettabile ufficiale della Dia che indagava sulla mafia.

Qualunque parallelo fra le mie vacanze con la situazione da me denunciata a “Che tempo che fa” a proposito di Schifani, o con quella da me recentemente illustrata ad “Annozero” a proposito di Bertolaso, è del tutto campato per aria.

Schifani non conobbe occasionalmente persone poi arrestate e condannate per mafia: fu socio insieme con loro nella Siculabroker; e non si trattava di poliziotti antimafia poi scopertisi infedeli, ma di imprenditori usciti da un sottobosco perlomeno vischioso che, soprattutto a Palermo, molti conoscevano bene; e soprattutto continuò per molti anni a frequentare e ad assistere mafiosi conclamati come avvocato civilista (circostanza che non configura alcun illecito, ma che, a mio modesto avviso, lo rende di per sè inidoneo a ricoprire una carica così’ delicata); in ogni caso, quando ne ho parlato da Fazio, non ho sostenuto che bastino quelle frequentazioni per imporre le dimissioni di Schifani da presidente del Senato, ma per segnalare che al momento della sua elezione nessun giornale aveva osato ricordarle tracciando la sua biografia; Schifani è la seconda carica dello Stato, mentre io sono un privato cittadino. Se, per assurdo, io assurgessi a un’alta carica dello Stato, non mi lamenterei di certo se i giornalisti analizzassero ai raggi X tutta la mia vita precedente, purchè – si capisce – raccontassero fatti veri, come quelli che io ho raccontato a “Che tempo che fa” sul conto di Schifani.

Quanto a Bertolaso, nessuno gli rimprovera conoscenze con persone insospettabili poi rivelatesi infedeli: ma frequentazioni con persone che notoriamente (soprattutto per lui) ottenevano appalti e consulenze dalla Protezione civile da lui diretta e poi lo gratificavano con “massaggi rivitalizzanti”, per non parlare del cognato, ingegner Piermarini, che otteneva laute commesse (non certo a sua insaputa) per il “risanamento” dell’isola della Maddalena in vista del dispendiosissimo G8-fantasma.

Ho commesso qualche errore nella mia vita. Ma non consento a nessuno di insinuare o di affermare che io debba stare attento alle mie amicizie o frequentazioni. Perché, quanto ad amicizie e frequentazioni, non ho proprio nulla da rimproverarmi.

D’ora in poi, se qualcuno in televisione tenterà di neutralizzare ciò che dico lanciando allusioni o insinuazioni su queste vicende, rimanderò i telespettatori a questa “Pagina degli scheletri”. E, naturalmente, porterò in tribunale i miei calunniatori e i miei diffamatori. Dopo aver subìto 250 denunce fra penali e civili da lorsignori, ho deciso di ripagarli della stessa moneta. Vediamo chi si stanca prima.

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Il casellario giudiziario aggiornato al 1° aprile 2010

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