
Ogni tanto capita di incontrare un vero intellettuale, cioè una persona che usa l’intelletto. A me è capitato con lo scrittore, poeta e drammaturgo Cesare Vergati. Ci siamo dati appuntamento ai giardini di Porta Venezia, ci siamo seduti su una panchina e abbiamo fatto una lunga conversazione sulla cultura, sulla civiltà della parola e dell’ascolto.
Viviamo in un’epoca di una superficialità terribile, le persone non si ascoltano più, ognuno pensa a dire la propria senza porsi nella dimensione del dialogo e della relazione con l’altro, me ne sono accorto anche nel mio piccolo qui sul Fatto Quotidiano online, mi accorgo che moltissimi commentano senza leggere fino in fondo il pezzo, alcuni addirittura commentano solo affidandosi al titolo del pezzo. La funzione dell’intellettuale invece è proprio quella di dare valore alla parola nelle sue infinite sfumature (Cesare è un appassionato di sinonimi) e nel contempo dare valore alle parole di chi abbiamo davanti, con Cesare funziona così ed è un piacere parlare con lui, si avverte proprio il lavoro dell’intelligenza che poi è una forma di eleganza e stile, qualità che a Cesare non mancano.
Persona misteriosa e riservata, dalla sensibilità delicata, si avverte in lui una tensione morale altissima, come se vivesse rispettando una sorta di decalogo personale, profondamente laico e razionale, antiretorico ed essenziale, uomo d’altri tempi, nel senso che è portatore di un’altra dimensione temporale, tanto per farvi capire: “Cesare, verrà fuori un film conversazione lunghissimo di quasi due ore che nessuno vedrà” “E che importa Riccardo? Quello che ci siamo detti ha dignità di ascolto, a me interessa la qualità, la quantità per me non ha alcun valore“.
In una società dominata dalle visualizzazioni, dal “fare numero” per fare soldi, fra persone sempre meno persone, sempre più distratte dal nulla infarcito di niente, Cesare si staglia come una gemma preziosa che brilla di luce cartesiana: un faro che illumina naufragi. Il naufragio della cultura, il naufragio dell’ascolto aperto e attento, il naufragio della sensibilità, il naufragio della classe, della grazia, del buongusto, del garbo, della squisitezza, della signorilità, della distinzione, della ricerca che è cosa diversa dalla ricercatezza, e così via…
Vanno tutti di fretta, quante volte sentiamo la frase “non ho tempo, devo scappare”?
Ecco, a me sembra che oggi l’intellettuale o l’uomo di cultura sia una persona che semplicemente “dispone del proprio tempo” con armonia e profondità, una persona che non scappa perché non ha commesso e mai commetterà il crimine della superficialità, dell’approssimazione, della faciloneria e del pressappochismo. Cesare è una persona accurata e per accurata intendo profonda e seria, quando parli con lui non ti senti mai tradito.
E vi sembra poco di questi tempi incontrare una persona come lui e avere il piacere e l’onore di conversare per circa due ore? Saranno pochi quelli che avranno letto fino alla fine questo pezzo e pochissimi (forse nessuno) quelli che troveranno il tempo per ascoltare il film conversazione che ho chiamato Nel cratere della parola, ma che importa? Fosse solo anche uno fra di voi o il nulla in attesa di quell’uno, quello che conta è la qualità, bisogna ribadirlo con sempre più forza, e lasciamo le visualizzazioni agli sciocchi che parlano di cibo, smash burger o altre amenità, infarcitevi, infagottatevi pure, appesantitevi senza pietà, con Cesare ci si muove sul pianeta Terra, il pianeta Terriccio invece che molti (troppi) di voi calpestano, ve lo lasciamo volentieri. Noi siamo ancora persone, non utenti di passaggio. Buona non visione.