Ilva, gli “ulteriori interventi” e il “nuovo acquirente”: perché i sindacati avvisano che quello di Urso è un “piano di morte”
Sono solo due righe ma abbastanza ambigue da scatenare un putiferio. I sindacati non hanno dubbi: sono la pietra tombale sul futuro dell’Ilva e il governo non ha voluto chiarire il loro significato. Da marzo 2026 “sarà comunque necessario fare ulteriori interventi, auspicabilmente a cura del nuovo acquirente”, hanno scritto i commissari nel “piano corto” che spiega come verrà tenuta in vita l’acciaieria nei prossimi mesi. È tutta qui la radice di uno scontro che si ingrossa di ora in ora con Fiom, Fim e Uilm sul piede di guerra e gli operai che hanno scelto di occupare strade e tangenziali a Genova e Novi Ligure. Il sospetto, insomma, è che non esista una strategia che vada al di là dei prossimi tre mesi né ci sia la volontà di sostenere finanziariamente un impianto che necessita di miliardi di euro per arrivare a una svolta ambientale e occupazionale.
La sintesi più accalorata è quella del segretario della Uilm Rocco Palombella che, accanto agli altri leader Michele De Palma e Ferdinando Uliano, a un certo punto non si trattiene: “Marzo arriverà e tutte le sue cazzate verranno a galla”. L’uomo in questione è il ministro delle Imprese Adolfo Urso, considerato colui che sta portando il siderurgico verso la fine dopo tredici anni di vertenza che nessun esecutivo ha mai risolto in maniera definitiva. “Il suo è un piano di morte”, va ripetendo Palombella. De Palma (Fiom) lo paragona alla regina Maria Antonietta e le sue famose brioche durante la crisi del pane in Francia: “Ci dice che non ci saranno altre 1.500 persone in cassa integrazione perché daranno loro la formazione. La realtà è che cambia sempre idea e ci manca di rispetto”. Affonda perfino il più moderato dei tre, il numero della Fim Uliano: “Vanno verso il ridimensionato, vogliono una mini-Ilva. Parla di improbabili acquirenti, di alcuni non ci comunica neanche i nomi. La presidente del Consiglio prenda in mano la situazione”. Il ministro è la figura più impallinata nel day-after dell’ultimo incontro sulla vertenza a Palazzo Chigi, senza che Giorgia Meloni abbia mai preso in mano il dossier, mossa che i sindacati chiedono da tempo.
Lo stato dell’arte dice che è arrivato un passo indietro sull’aumento dei cassa integrati, che faranno formazione fino a fine febbraio. Un pannicello caldo. Perché non c’è un raggio d’azione che vada da marzo in poi. Non si fidano più, guardano con sospetto ogni mossa. “Ci hanno certificato che l’1 marzo 2026 sarà una sorta di lutto nazionale, scompariranno posti di lavoro – attacca Palombella – Chiediamo ai partiti e alla premier di interessarsi a quanto sta accadendo”. Il segretario della Fiom sottolinea invece come Urso abbia parlato di una “decarbonizzazione veloce”, accelerata rispetto agli otto anni preventivati ad agosto, ma “non risponde se è vero o no che de-finanziano Dri Italia”, la società che si dovrebbe occupare della costruzione degli impianti necessari ad alimentare i forni elettrici. “L’obiettivo è quello di fermare gli impianti – aggiunge De Palma – Non c’è un piano industriale verso la decarbonizzazione, quello presentato in estate non esiste più”.
Anche la gara di vendita finisce nel mirino. La scelta dell’acquirente – cioè del privato che dovrebbe farsi carico di tutti quei lavori, e quindi di spese, che il governo ha rimandato alla primavera del prossimo anno – è al limite del tragicomico. Urso era entrato in una fase di negoziato in esclusiva con Baku Steel, poi il tutto si è arenato facendo slittare la chiusura dell’iter che, garantiva, sarebbe avvenuto entro il 2025. Quindi ha riaperto tutto, ritrovandosi con le offerte di soli due fondi – Bedrock e Flacks – e ora continua a tenersi aperte altre porte. Almeno a parole. “Parla di due nuove offerte, ma non ci dice i nomi e nel frattempo tratta con Bedrock che nella sua manifestazione di interesse prevede migliaia di esuberi”, rimarcano i sindacati. De Palma è implacabile: “I lavoratori sono diventati il bancomat dell’azienda, il governo non mette i soldi per la continuità produttiva”. La richiesta è unanime: “Diciamo al governo: fermatevi. Meloni decida se imboccare la strada in senso contrario come ha fatto Urso oppure se controsterzare. Intervenga lei e tolga di mezzo questo piano di chiusura”. Il rischio dietro l’angolo e condiviso: “L’Ilva è una questione strategica per i metalmeccanici e per l’Italia. Lo scontro che si è aperto riguarda non solo i lavoratori, ma il futuro industriale del Paese”.