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Reni bioartificiali creati in laboratorio, primo passo concreto verso organi sintetici per il trapianto umano

Una svolta epocale per i trapianti e rivoluzione per la ricerca. Grazie agli “assembloidi” i ricercatori aprono la strada al superamento dei limiti delle donazioni e del rigetto
Reni bioartificiali creati in laboratorio, primo passo concreto verso organi sintetici per il trapianto umano
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Potremmo essere vicinissimi ad aprire le porte verso un nuovo futuro della trapiantologia. Un team di ricercatori della Keck School of Medicine della University of Southern California ha annunciato di aver creato strutture renali in laboratorio chiamate “assembloidi”, in grado di sviluppare funzioni complesse e maturare oltre lo stadio embrionale. Significa che si sta concretizzando la possibilità di creare in laboratorio organi salva-vita da trapiantare a milioni di persone al mondo, in un contesto di carenza cronica di donatori che affollano le liste d’attesa.

Gli scienziati, guidati dal professor Zhongwei Li, avevano già creato organoidi separati: alcuni formati dai nefroni (le unità filtranti del rene) e altri dai dotti collettori (che concentrano l’urina). La vera rivoluzione sta nell’averli uniti con successo in queste nuove strutture, gli assembloidi. Il team ha ottimizzato le condizioni per far crescere questi assembloidi sia umani che murini (di topo) in laboratorio. Ma la vera “magia” è avvenuta quando le strutture sono state trapiantate in topi vivi. È qui che gli assembloidi hanno sfruttato la loro “memoria” naturale, dimostrando una capacità di auto-assemblaggio che li ha portati a maturare ulteriormente, sviluppando tessuto connettivo e una rete di vasi sanguigni.

I risultati, pubblicati sulla rivista Cell Stem Cell, sono stati sorprendenti. Gli assembloidi hanno dimostrato di poter filtrare il sangue, assorbire proteine cruciali come l’albumina, produrre ormoni renali e, soprattutto, mostrare i primi segnali di produzione di urina. Mentre i precedenti organoidi si bloccavano a uno stadio embrionale, gli assembloidi di topo hanno raggiunto un livello di maturazione paragonabile a quello di un rene di topo neonato.

Questo lavoro offre una duplice promessa. Non solo avvicina l’obiettivo finale di un rene sintetico funzionante per i trapianti, ma fornisce uno strumento rivoluzionario per la ricerca. Gli scienziati hanno già dimostrato che gli assembloidi possono fungere da modelli ad alta fedeltà per studiare malattie complesse. Ad esempio, creando assembloidi da cellule portatrici di una mutazione genetica che causa il rene policistico autosomico dominante, sono riusciti a osservare in vivo la crescita di cisti renali umane e caratteristiche complesse della malattia, come infiammazione e fibrosi, impossibili da modellare finora. Abbiamo “uno strumento rivoluzionario per la creazione di modelli più accurati per lo studio delle malattie renali, che colpiscono un adulto su sette”, dice Li. “Rappresenta anche una pietra miliare verso il nostro obiettivo a lungo termine di costruire un rene sintetico funzionale per gli oltre 100.000 pazienti negli Stati Uniti in attesa di trapianto, l’unica cura per la malattia renale allo stadio terminale”, aggiunge.

La strada verso un organo artificiale pronto per l’uomo è costellata di successi pionieristici, ma anche di grandi sfide. L’impresa degli assembloidi si inserisce in un contesto di ricerca più ampio, dove la biotecnologia gioca un ruolo da protagonista assoluto per superare il problema del rigetto immunitario. Passi in avanti sono stati fatti di recente nella xenotrapiantologia, che prevede di utilizzare organi provenienti da animali (principalmente suini) come alternativa disperata per pazienti altrimenti condannati. Questi successi sono stati resi possibili solo attraverso l’uso di organi geneticamente modificati per “disattivare” i geni responsabili del rigetto iperacuto e renderli, per quanto possibile, tollerabili dal sistema immunitario umano. Mentre la xenotrapiantologia si affida alla modifica di organi animali, la strada degli assembloidi promette invece di costruire un organo ex novo dalle cellule umane del paziente stesso, riducendo drasticamente il rischio di rigetto. Il traguardo di un “organo di ricambio” personalizzato, disponibile su richiesta, non è mai stato così vicino.

Valentina Arcovio

Lo studio

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