Era poco più di un anno fa quando la Francia bloccava le città al grido di “Macron dégage” (“Macron vattene”). Ora quelle stesse piazze si riaccendono di fronte all’azzardo del presidente della Repubblica che ha sfidato l’estrema destra e deciso, su due piedi di fronte al trionfo di Marine Le Pen, di sciogliere l’assemblea nazionale. Il Paese ha vissuto una settimana sulle montagne russe: la vittoria del Rassemblement National alle Europee con il 31,2% dei consensi, l’indizione di nuove elezioni alla vigilia delle Olimpiadi, l’implosione dei Repubblicani sull’apertura al RN e le sinistre che in tempi record ricreano un fronte unito. Il tutto mentre il capo dello Stato francese vola in Italia per il G7 e ostenta in favore di telecamera (ricambiato) la repulsione per Giorgia Meloni, l’impersonificazione di tutti i suoi nemici. Macron ha detto e ridetto che “la politica non è stare fermi” e di sicuro gli ultimi giorni sono stati tutt’altro che immobili. Una settimana a 200km all’ora che culminerà con le manifestazioni in tutta la Francia contro l’estrema destra: almeno 300mila i partecipanti attesi da Nord a Sud. “Non stare fermi”, dice il capo dell’Eliseo. Ma per andare dove? Gli scenari sono tanti, tutti ipotetici e suscettibili a decine di variabili, ma tra i rischi più concreti c’è quello di trovarsi ancora con un Paese spaccato dentro e fuori dal Parlamento. Senza più (a quel punto davvero) possibili vie d’uscita.

La strategia di Macron e la rabbia (anche e soprattutto a sinistra) che sottovaluta – Raccontano che la strategia di Macron fosse quella di creare il caos, cogliere tutti di sorpresa e incastrare il Rassemblement National nelle elezioni più difficili di tutte (con i collegi uninominali e il ballottaggio). Lui lo avrebbe anticipato addirittura settimane fa ai tavoli che contano e in fin dei conti non era così impensabile che arrivasse a questa scelta, ma il terremoto c’è stato comunque. Nel 2022 il presidente della Repubblica è stato rieletto una seconda volta solo grazie ai resti di un cordone sanitario contro l’estrema destra che ora sembra non esistere più: il via libera alla riforma delle pensioni è stato, solo un anno fa, la pietra tombale su una qualsiasi possibilità di dialogo con quegli elettori di sinistra che, messi alle strette, lo avevano rivotato. Ecco che allora Macron si è giocato l’ultima carta: mette tutti di fronte alla paura di vedere al governo Jordan Bardella, delfino di Marine Le Pen. Basterà? I sondaggi e le previsioni dicono di no. E questo perché, ancora una volta, sottovaluta la rabbia che c’è, non se ne è mai andata e che unisce classi e generazioni. “Il Nuovo fronte popolare è nato nella battaglia sulle pensioni. È più ampio dei partiti, include i sindacati. È un movimento sociale potente“, ha detto solo ieri Sandrine Rousseau, uno dei volti degli ecologisti. Lo spegnimento di quelle proteste un anno fa, spesso nella repressione, non ha voluto dire spegnere anche la rabbia.

E non c’era bisogno dello strappo di Macron per rendersene conto. “Dopo l’impressione di stanchezza, la rabbia è stato uno dei sentimenti più spesso utilizzati dai francesi per definire lo stato d’animo con cui si sono avvicinati a queste elezioni, se votare o astenersi”, ha spiegato nella sua analisi post voto Anne Muxel, vicedirettrice del Centro di ricerca politica di Sciences Po (il Cevipof) e direttrice emerita al CNRS, il Centro nazionale di ricerca scientifica. “La dimensione di protesta del voto è forte, ed è stata espressa in modo schiacciante ai due estremi dello spettro partitico: il 60% degli elettori di Jordan Bardella e il 66% di coloro che hanno scelto Manon Aubry” capolista de la France Insoumise “si sono detti vicini a una Francia arrabbiata e fortemente contestatrice. E ancora più radicalmente, il 36% dei primi e il 35% dei secondi si sono detti ‘in rivolta’”. La rabbia viene evocata anche da chi si è astenuto: “Se la principale ragione addotta per non partecipare al processo elettorale è il senso di inutilità e impotenza politica, quasi un astenuto su due (47%) cita l’insoddisfazione nei confronti sia del governo francese sia dell’Unione europea. Soprattutto, quattro su dieci esprimono rabbia (42%) o rivolta (44%) per la situazione politica del Paese“. Chiude Muxel: “Ventiquattro milioni di francesi non hanno votato domenica, cioè un francese su due (48,5%) e dato il loro profilo sociologico e politico, non c’è nulla che faccia pensare a una pacificazione” tanto da spingerli a tornare alle urne. Sicuramente non basterà mostrare loro lo spettro di un governo di estrema destra che non fa più unanimamente paura.

Perché ora il Rassemblement National può aspirare al governo – Nella sfida a muso aperto di Macron a Marine Le Pen, c’è un altro elemento che spesso viene poco considerato e di cui non si è parlato abbastanza. Il Rassemblement National non è solo la versione “normalizzata” del movimento di Jean-Marie Le Pen. Non è solo una creatura ammessa ai tavoli istituzionali e ridimensionata nelle apparenze. E’ una forza politica che è stata capace di raccogliere consensi in “tutte le categorie sociodemografiche“, come spiega l’ultima indagine Ipsos sugli elettori delle Europee 2024. Jordan Bardella e i suoi sono arrivati primi in 457 circoscrizioni (su 577): ovvero hanno colorato di blu praticamente tutta la cartina della Francia, fatta eccezione per qualche puntino rosso intorno a Parigi e poco altro. Ma l’avanzata è su tutti i fronti. Innanzitutto, “in termini di sesso ed età”, spiega Ipsos, il partito di Le Pen “ha fatto un balzo di dieci punti nell’elettorato femminile (20% dei voti nel 2019, 30% oggi), confermando la fine del divario di genere specifico dell’estrema destra. La lista Bardella ha anche ottenuto risultati migliori tra i giovani sotto i 25 anni, passando dal 15 al 26% dei voti”. Interessante anche la crescita per quanto riguarda le classi sociali: “La progressione più importante si trova forse nella classe media, dove l’RN ha chiaramente preso il comando: i punteggi sono passati dal 19% al 29% nelle professioni intermedie (+10 punti), dal 16% al 29% tra i laureati (+13). L’RN ha anche registrato crescite superiori al 50% tra i dirigenti (dal 13% al 20% dei voti, +7), rafforzando allo stesso tempo il suo zoccolo tradizionale (40% tra gli impiegati, record del 54% tra gli operai, +14). È diventato il primo partito tra i lavoratori (36% dei voti), sia del settore pubblico (34%) che del privato (37%). La concorrenza è schiacciata, è considerevole. Il voto RN ha inoltre ampiamente penetrato anche la categoria dei pensionati, con il 29% dei voti (22% nel 2019)”. Insomma, è stato spazzato via anche l’ultimo dei pregiudizi secondo cui a votare per il Rassemblement National sono le classi disagiate e poco scolarizzate: ora il partito piace in tutte le fasce sociali, a prescindere da età e formazione.

E non solo. La lista Bardella ha preso voti da tutte le parti politiche, e anche questo non è secondario: l’8 per cento di chi aveva scelto Mélenchon alle presidenziali del 2022 ha votato per il RN, lo ha fatto il 7% di chi aveva scelto Macron. Infine, l’unica categoria in cui il partito di Marine Le Pen non è arrivato in testa è tra coloro che sono considerati parte “degli ambienti benestanti e privilegiati”(19% dei voti contro il 26% alla lista Renaissance della maggioranza presidenziale) e tra coloro che “riescono a mettere molti soldi da parte” (15% contro il 24% per Renaissance). L’estrema destra è cresciuta ovunque, tranne tra i più ricchi e chi sta meglio. E il dato conferma il forte spirito “anti-élite” del voto a Le Pen e i suoi. Non proprio le condizioni per far dormire sonni tranquilli al presidente della Repubblica francese.

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

La Nato si spacca sull’Ucraina. Stoltenberg: “Servono 40 miliardi all’anno”. L’Italia dice no: “Per noi già difficile raggiungere il 2% del Pil”

next
Articolo Successivo

Pagavano paramilitari terroristi in cambio di protezione in Colombia: colosso delle banane Chiquita condannato a pagare 38 milioni

next