Ho letto con vero sgomento quanto accaduto a tre colleghi – tra cui una giornalista che lavora per il sito di questo giornale, Angela Nittoli (e poi Massimo Barsoum e Roberto di Matteo) – e denunciato ieri nell’apertura del ilfattoquotidiano.it e oggi su Il Fatto Quotidiano in edicola.

I fatti sono pochi e molto gravi. Mentre stavano accingendosi a seguire un’azione di Ultima Generazione a Roma, davanti al Ministero del Lavoro i tre giornalisti sono stati fermati e identificati. Hanno subito, come più volte ripetuto successivamente, mostrato tesserini dell’Ordine e spiegato che erano lì in qualità di cronisti, come l’attrezzatura da videomaker evidentemente mostrava. Eppure sono stati portati in Questura, con cellulari e materiali tolti e messi nel bagagliaio, trattenuti a lungo poi in una cella angusta anche se con la porta aperta; costretta, Angela Nittoli, ad andare in bagno con la porta aperta. Tutto questo senza minimamente capire il perché di quello che stava accadendo. Devono essere stati certamente momenti di panico e inquietudine.

Ma di certo il rilascio non ha risolto il problema e infatti, per fortuna, tutti i sindacati dei giornalisti stanno chiedendo conto di un comportamento che si configura come una vera e propria intimidazione a colleghi che stavano facendo il loro lavoro, oltre che a una violazione palese del diritto di cronaca che discende dall’art. 21 della Costituzione.

Dunque in un paese europeo, democratico (in teoria), accade che la stampa, che sta riportando dei fatti, possa essere portata con violenza in questura e perquisita senza alcuna ragione. Questore e Viminale hanno cercato di difendersi dicendo che i giornalisti non si sono palesati come tali, cosa che i colleghi hanno apertamente smentito.

La violenza e la violazione di diritti elementari è talmente grande e e preoccupante – non è un caso poi che i fatti fossero la protesta di attivisti di Ultima Generazione, attivisti che il governo sta da mesi letteralmente perseguitando con norme ad hoc e multe e daspo – che si spera davvero che le istituzioni si muovano. A partire dal presidente della Repubblica, che invoca la libertà di parola nelle Università e ha preso le difese della ministra Roccella, con la differenza però che la parola in quel caso non è stata tolta alla ministra – c’è stata contestazione, non impedimento a parlare, due cose che a me paiono completamente diverse, ma che continuano ad essere confuse – mentre qui siamo di fronte a un vero impedimento a fare il proprio lavoro, oltre che a un sequestro fisico privo di qualsiasi motivazione. In altre parole violenza senza fondamento.

Tutto ciò ha conseguenze negative sulla stampa e su tutti noi. Tante volte ho seguito le azioni di Extinction Rebellion e Ultima Generazione e ora, se ricapiterà, dovrò farlo col timore che possa riaccadere quanto accaduto. È semplicemente spaventoso, e se non ci allarmiamo per fatti come questi vuol dire che la società è veramente appiattita e ormai assuefatta, mentre la politica agisce indisturbata con azioni che sono non solo violente ma anche arbitrarie, stolte, malfatte. C’è un disegno di persecuzione, ma c’è anche l’arroganza di chi sa di essere impunito e infine, direi, anche l’ignoranza di chi non conosce diritti elementari quali la Costituzione stessa.

È un periodo buissimo per l’Italia, per tanti motivi, non certo solo quanto accaduto ai cronisti. Che è solo un altro pezzo di un disegno che, speriamo, non avrà il tempo necessario per dispiegare tutta la sua potenza negativa e profondamente illiberale. Misure che, unite poi all’abbandono completo di ogni misura protettiva nei confronti delle persone – altro che destra sociale – fanno sì che oggi vivere in Italia significhi vivere senza alcun sussidio da parte dello stato da un lato, mentre numerosi potenti della destra, a quanto ormai evidente, si danno da fare per accaparrarsi risorse pubbliche, spesso commettendo reati; e con una cappa di ideologia sovente antidemocratica, a danno di categorie di volta in volta diverse, dall’altro. Un momento buio e pesante, di cui ancora non si vede la via d’uscita.

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