Un comunicato stampa su carta intestata del Comando generale dei Carabinieri per esprimere vicinanza a Mario Mori, indagato per le bombe del 1993. È un’iniziativa senza precedenti quella dell’Arma, che ha deciso di schierarsi pubblicamente con l’ex generale del Ros, sotto inchiesta per concorso nelle stragi di Roma, Firenze e Milano, associazione mafiosa, associazione con finalità di terrorismo internazionale ed eversione dell’ordine democratico.

Il comunicato dell’Arma – La nota stampa del quinto reparto dei Carabinieri – quello che si occupa della comunicazione – è lunga cinque righe ma ha un significato inequivocabile: “Appresa la notizia dell’avviso di garanzia, con invito a comparire per rendere interrogatorio in qualità di indagato, nei confronti del Generale Mario Mori, nel pieno rispetto del lavoro dell’Autorità Giudiziaria, l’Arma dei Carabinieri esprime la sua vicinanza nei confronti di un Ufficiale che, con il suo servizio, ha reso lustro all’Istituzione in Italia e all’estero, confidando che anche in questa circostanza riuscirà a dimostrare la sua estraneità ai fatti contestati”. Una posizione forte quella presa dal Comando Generale nei confronti di un ex esponente dell’Arma finito sotto inchiesta. Nel filone relativo alle vicende del 1992 e 1993 che ha coinvolto i carabinieri, tra l’altro, non ci sono precedenti. Neanche per quanto riguarda lo stesso Mori, finito per tre volte nel registro degli indagati con le accuse di favoreggiamento alla mafia e di violenza o minaccia a un corpo dello Stato.

Il precedente dopo l’assoluzione definitiva – Stavolta, però, i vertici dell’Arma ci tengono a mettere nero su bianco il loro auspicio sull’estraneità di Mori a ogni addebito. Un’opinione legittima, ci mancherebbe altro, ma che viene espressa pubblicamente dai vertici dei Carabinieri non successivamente a un’assoluzione, come avvenne per esempio dopo la sentenza della Cassazione sulla cosiddetta Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa nostra. In quel caso il comandante generale Teo Luzi non aveva nascosto la propria “soddisfazione” alle agenzie di stampa: “Le sentenze – aveva detto – vanno rispettate, sono contento per l’esito perché si è finalmente arrivati al termine di una lunga vicenda giudiziaria”. Questa volta, invece, il comunicato del Comando generale arriva subito dopo la notizia dell’avviso di garanzia, quando cioè le contestazioni della procura di Firenze non sono ancora completamente note.

Processi ed assoluzioni – Da segnalare come l’ufficio stampa dei militari ci tenga a mettere nero su bianco che Mori “ha reso lustro all’Istituzione in Italia e all’estero“. Anche questa è un’opinione legittima, ma che includerla in un comunicato ufficiale durante un’indagine in corso è forse poco appropriato. Va sottolineato, senza dubbio, che l’ex comandante del Ros è sempre stato assolto nei processi in cui era imputato. Ma bisogna anche ricordare che comunque per tre volte è finito a giudizio per vicende quantomeno controverse nella storia della lotta alla mafia: la mancata perquisizione del covo di Totò Riina, il mancato arresto di Bernardo Provenzano e infine per la cosiddetta Trattativa Stato-mafia. Solo nell’ultimo caso è stato assolto per non aver commesso il fatto contestato, cioè aver trasmesso allo Stato la minaccia dei boss mafiosi. Nei due casi precedenti, invece, i giudici erano arrivati alla conclusione che il generale (imputato prima con Sergio De Caprio e poi col colonnello Mauro Obinu) non era colpevole perché il fatto contestato non costituiva reato. In entrambi i casi era accusato di favoreggiamento alla mafia: gli hanno contestato di non aver fatto perquisire l’ultima casa abitata da Riina subito dopo il clamoroso arresto del capo dei capi di Cosa Nostra; e poi di non aver fatto scattare il blitz per arrestare Provenzano a Mezzojuso il 31 ottobre del 1995, nonostante la soffiata del boss infiltrato Luigi Ilardo. Due processi in cui non è mai stato provato il dolo degli imputati. Nel primo caso i giudici considerarono “omissivi” alcuni comportamenti dei militari, ma non idonei a configurare il favoreggiamento a Cosa nostra. Simile l’epilogo del secondo processo: nelle motivazioni dell’Appello si legge di una condotta “negligente e poco solerte” che però non dimostra “con la necessaria certezza” la volontà di favorire la latitanza di Provenzano. Di sicuro c’è solo che Cosa nostra fece in tempo a ripulire il covo di Riina, dopo il suo arresto. Mentre l’uomo che ne aveva preso il posto al vertice di Cosa nostra rimase latitante per altri undici anni dopo quel summit del 1995.

Mori e la politica – La nota di vicinanza dei Carabinieri a Mori arriva dopo che la difesa d’ufficio operata da esponenti di vertice della maggioranza di governo, dal ministro Guido Crosetto al capo dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri. Dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia dalla procura di Firenze, Mori è stato ricevuto a Palazzo Chigi dal sottosegretario Alfredo Mantovano. Un incontro confermato e rivendicato dall’uomo che per Giorgia Meloni segue i dossier più delicati relativi alla sicurezza e alla giustizia. “Al generale – ha spiegato – ho manifestato per un verso vicinanza di fronte alle contestazioni che gli vengono rivolte, delle quali mi ha messo a parte; per altro verso sconcerto, nonostante che decenni di giudizi abbiano già dimostrato l’assoluta infondatezza di certe accuse”. Quindi uno degli uomini più fidati della Presidente del consiglio ha voluto blindare la posizione di Mori, nella giornata in cui l’ex generale ha fatto sapere di essere finito di nuovo sotto inchiesta: “Gli eccezionali risultati che la dedizione e l’impegno del generale Mori hanno permesso di conseguire esigerebbero solo gratitudine da parte delle istituzioni nei suoi confronti. Tutte le istituzioni, magistratura inclusa“, ha aggiunto Mantovano, lanciando una stilettata neanche velata ai pm della procura di Firenze. E probabilmente anche a quelli di Palermo, che hanno processato Mori per tre volte, invece di mostrare gratitudine per il generale come richiesto da Palazzo Chigi.

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