“L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale”, “Disperato erotico stomp”, Lucio Dalla, tifoso del Bologna. La canzone è del 1977, quando Carlo Ancelotti giocava nel Parma, in Serie C ed era un signor Nessuno. Oggi è il signore della Champions – quattro vinte da allenatore, due da giocatore – e nel Real Madrid dei galacticos ha imposto, e sta imponendo, la sua “normalità”. Nell’era degli algoritmi, degli allenatori guru – e spesso “paraguru” -, di chi parla di verticalizzazione come se fosse algebra e di chi enuncia “il mio calcio”, Carletto è l’uomo delle cose giuste al posto giusto al momento giusto. Carletto’s Way.

Da molto tempo, e le modalità del 2-1 con il quale il Real Madrid ha ribaltato il Bayern Monaco – 0-1 all’88’, 2-1 al 91’ – hanno rinfrescato la storia, si celebra la suerte infinita di Ancelotti. Una colpa? Forse no. Al limite, quel qualcosa in più che non guasta mai. La fortuna però bisogna meritarsela. Rivediamo, por favor, l’ultimo quarto d’ora di Real-Bayern. Tuchel al 76’ piazza il secondo cambio: fuori Sané, dentro Kim. Mossa chiarissima: mi difendo. Poi fuori Musial all’84’ e dentro Muller, fuori anche Kane e dentro Choupo-Moting. Come rileverà Fabio Capello, Tuchel si è giocato tutti gli slot dei cambi: errore grave. Non solo: perché togliere Kane? Mistero. “Aveva il mal di schiena”, la risposta del tecnico tedesco. La faccia perplessa dell’attaccante inglese pare una smentita. Ancelotti all’81’ piazza la doppia sostituzione: via Valverde e Rodrygo, dentro Joselu e Diaz. Attacco rivisto e corretto, ovvio quando devi rimontare. Joselu in quattro minuti entra nella storia ribaltando il Bayern Monaco e facendo quello che si chiede a un centravanti, anche al peggiore: segnare. Gol brutti, sporchi e ignoranti, ma gol. Poi, certo, la storia nella storia: il riscatto di un attaccante come tanti, che ha indossato le maglie di Hoffenheim, Stoke City, Newcastle, Espanyol, chiamato alla corte del Real per l’emergenza del dopo-Benzema e fare la riserva. La serata eccezionale di un centravanti normale.

Il quotidiano spagnolo Marca ha dedicato un articolo sulla superstizione di Ancelotti. Titolo: “El chaleco talismàn que nunca falla a Ancelotti”. Tradotto: “Il gilet talismano di cui Ancelotti non si stanca mai”. “…L’allenatore italiano è uomo di abitudini e contro il Bayern non le ha dimenticate. Poco importava del caldo che si era abbattuto su Madrid, il coach della squadra bianca si è presentato con la sua giacca e con il suo inseparabile gilet portafortuna, lo stesso che lo accompagna da quando è tornato al Real Madrid nelle partite europee e ha fallito il suo compito solo una volta. Il suo talismano”. Anche il culto della superstizione, probabilmente appreso negli anni vissuti all’ombra di Nils Liedholm, fa parte, in qualche modo, della normalità di Ancelotti. La scaramanzia accompagna l’umanità da sempre. È credenza popolare. È suggestione. È mistero: l’altra faccia della luna degli algoritmi.

Normalità, si dice, è vincere guidando Milan, Chelsea, PSG, Bayern, Real Madrid. Giusto, ma tanti allenatori celebri e di estrazione culturale diversa, non sono riusciti nell’impresa, spazzati via dalla storia. Viene il sospetto, fondato, che nella sua linearità, nel seguire la retta via del buon senso, nel fare le cose semplici e nel dare risposte semplici (“al Real mi hanno chiamato per vincere”), nei suoi concetti semplici (“c’è il calcio e c’è il Real, il miglior club del mondo”), nella sua conoscenza profonda del calcio e delle dinamiche mentali dei campioni, ci sia l’essenza di Ancelotti. La sua forza. La chiave delle sue imprese sportive, dei ventotto titoli conquistati in carriera – Intertoto compreso –, dei suoi record – unico a vincere quattro Champions da allenatore e il titolo nazionale nei cinque maggiori campionati europei -, delle cinque stagioni vissute al Real Madrid, con finestra aperta fino al 2026. Perché l’impresa eccezionale, soprattutto di questi tempi, è essere normale.

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