Anche quest’anno il Governo Meloni si è sbattuto per mettere sul tavolo un bel regalo.

No, non è il salario minimo, tantomeno di 10 € l’ora, urgenza e necessità che rivendichiamo da tempo anche con una Legge di Iniziativa Popolare già depositata in Parlamento e lasciata languire in un cassetto della X Commissione Senato, tanto dalla maggioranza dell’ultradestra quanto dalle opposizioni. Che però si scopre che il 30 aprile, pure loro alla vigilia del 1° maggio, hanno depositato presso la Cassazione una propria Legge di Iniziativa Popolare per un salario minimo di 9 € l’ora. Siamo pur sempre in tempi di campagna elettorale…

No, non è l’eliminazione di alcune delle norme che hanno costruito la giungla della precarietà che lavoratori e lavoratrici soffrono sui posti di lavoro.

Non è nemmeno l’assunzione di un esercito di ispettori del lavoro che potrebbe così finalmente contrastare efficacemente le mille forme del lavoro irregolare, da quello nero a quello grigio. Né l’introduzione del reato di omicidio sul lavoro, che potrebbe essere parte di una strategia necessariamente più ampia volta a combattere la piaga dei più di tre lavoratori ammazzati ogni giorno – festivi compresi – sui posti di lavoro. Sia mai “disturbare chi vuole fare” (sulle spalle e sulla vita dei dipendenti).

Eppure, anche quest’anno il regalo del Governo Meloni c’è. Solo che, semplicemente, non è per i lavoratori e le lavoratrici. “Per chi, allora?”, vi starete chiedendo. Ma per gli imprenditori, ovvio!

Sta per arrivare una nuova pioggia di bonus e incentivi per le imprese di tutta Italia. Si parte con uno sgravio contributivo del 100% per due anni, pari a 500€ al mese per ogni nuova assunzione. Per chi opera nella “Zona Economica Speciale” che copre il Sud Italia, la cifra sale: fino a un massimo di 650€.

Si prosegue con la “maxi deduzione al 120%” per nuove assunzioni, che però può arrivare anche al 130% nel caso gli assunti siano giovani, donne o ex percettori del reddito di cittadinanza. Abolito l’anno scorso, ma quello era lo “special gift” 2023. Una carta che ti giochi solo una volta.

L’Italia, quindi, si conferma un Sussidistan. Come nel 2020 lamentava il presidente di Confindustria Carlo Bonomi. Solo che lo siamo per gli infiniti sussidi che diamo alle imprese, mica ai lavoratori. Nel solo 2023 ben 55 miliardi di incentivi alle imprese, un fiume di denaro che vale in soli 365 giorni quasi otto anni di reddito di cittadinanza.

C’è chi dirà che si tratta di misure che, sebbene costose – per questo solo pacchetto il Governo Meloni ha stanziato ben 5 miliardi di euro – portano però nuova occupazione. Un effetto positivo, per cui il gioco varrebbe la candela. Ma è proprio così?

Ci sono ad esempio settori in cui le assunzioni ci sarebbero a prescindere: basta leggere gli studi sulle previsioni occupazionali per rendersi conto che nei prossimi anni si produrrà occupazione, ad esempio, nel “green” e nel digitale. Si tratta infatti di settori con capacità espansiva e in cui gli imprenditori possono ragionevolmente supporre che ci sia spazio per una soglia minima di profitti. Ci sono i dati Inapp che ridimensionano la capacità degli incentivi di creare nuovo lavoro. Quelli relativi al 2021 ci dicono che solo “il 24% dei nuovi contratti nel 2021 è prodotto di specifiche agevolazioni” e che “l’occupazione generata riflette e non corregge le criticità strutturali della partecipazione di uomini e donne (compresa la classe di età giovanile)”.

E ci sono interviste, vecchie e nuove, agli stessi imprenditori, in cui emergono realtà “sconcertanti”: “Un imprenditore assume un giovane se serve, cioè se ha lavoro”. Cioè sulla base del ciclo economico e non degli incentivi disponibili in quel momento. Una realtà che emerge anche dall’aumento del tasso di occupazione attuale, un trend che dura da un po’ e che mostra una tendenza che non pare bisognosa di una nuova innaffiata di regali di Stato.

Si dirà, però, che questo fiume di sussidi almeno serve ad avere occupazione stabile di qualità. In realtà esistono regali alle imprese che ci raccontano tutt’altro. Prendiamo “Decontribuzione Sud”: introdotta dal centrosinistra del Conte II (e poi tenuta in vita da Draghi e Meloni), prevede un esonero del 30% della contribuzione previdenziale a carico delle imprese per ogni dipendente negli stabilimenti del Meridione d’Italia. Avete capito bene: non è legato a nuove assunzioni, ma viene erogato anche per personale già in pancia all’azienda. E per ogni tipo di contratto, mica solo per quelli a tempo indeterminato! Vale tutto, con tanti saluti a una lotta alla precarietà che eveidentemente nessuno vuole condurre.

I regali del Governo Meloni alle imprese ci dicono due cose.

1. Che i soldi, se vogliono, li trovano. Solo che non sono per la maggioranza che ogni giorno fatica, suda e produce ricchezza, spesso in condizioni tutt’altro che dignitose, bensì per la solita minoranza che vive perennemente attaccata alla mammella di Mamma Stato, salvo spacciare le favolette sullo “Stato minimo”.

2. Che “Giorgia” si atteggia a “una di noi”, a donna del popolo, ma solo per pugnalarlo meglio mentre offre i suoi servigi al potere economico del nostro Paese, cioè allo stesso padrone che servivano coloro che l’hanno preceduta, vantassero o meno appartenenza “popolare”.

Il 1° maggio, però, è anche tanto altro. Per fortuna non ci sono solo “concertoni”, ma piazze di lotta. Come quelle che ieri abbiamo visto in tante città del Paese. A partire da Firenze, dove si è manifestato perché i lavoratori e le lavoratrici tornino a casa dopo la giornata di lavoro, senza morire su cantieri, nei campi e nelle fabbriche; per un salario dignitoso e per stabilità lavorativa e di vita.

Tutti obiettivi che non fanno rima coi progetti dell’ultradestra di Governo.

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