Una tassa minima globale sui super ricchi è necessaria, fattibile e giusta. A pensarlo non è più “solo” un piccolo drappello di economisti eterodossi: la presidenza brasiliana del G20 ha messo la proposta al centro dell’agenda degli incontri che culmineranno a novembre con il vertice dei leader a Rio de Janeiro e il Comitato intergovernativo sulla tassazione delle Nazioni Unite sta mettendo a punto una norma modello pronta all’uso per aiutare i singoli Paesi a introdurla. Tra i grandi sostenitori della proposta c’è il premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, che durante un panel organizzato in occasione delle riunioni di primavera del Fondo Monetario Internazionale a Washington ne ha discusso con la Nobel Esther Duflo e il direttore dell’Eu Tax Observatory Gabriel Zucman, primo a teorizzare una patrimoniale del 2% sui 3mila miliardari globali. A cui il presidente brasiliano Lula ha chiesto di preparare per il mese di giugno, in vista del G20 dei ministri delle Finanze e dei banchieri centrali, un rapporto con tutti i dettagli su come tradurre l’idea in pratica.

“La discussione su questi temi deve essere affrontata a livello globale per diverse ragioni”, ha spiegato Stiglitz, ex capo economista della Banca mondiale e oggi presidente della Commissione indipendente per la riforma del sistema fiscale internazionale. “La disuguaglianza di ricchezza è un problema globale ed è aumentata quasi ovunque, sia all’interno dei Paesi sia tra i Paesi. Il mondo affronta multiple crisi, a partire dalla crisi climatica che è una minaccia esistenziale, e abbiamo bisogno di fondi pubblici per affrontarle. L’ideologia del neoliberalismo secondo cui più basse sono le tasse meglio è sta arrivando a esaurimento e si inizia a riconoscere che è vitale per il benessere delle nostre società tassare per poter fare investimenti pubblici in ricerca e sviluppo, istruzione, infrastrutture e politiche industriali”. Ultimo punto, le disuguaglianze causate dal fatto che chi è in cima alla piramide paga meno di chi è alla base “creano disillusione nei processi democratici e minano la coesione sociale“.

Perché focalizzarsi sui super ricchi? La risposta semplice è che “è lì che ci sono i soldi“, ha scherzato il Nobel, ma dal punto di vista economico c’è una ratio solidissima: “Gran parte della loro ricchezza deriva dallo sfruttamento di rendite e non da attività che contribuiscono al benessere della società”. E al tempo stesso “molti di loro sono ancora più bravi ad evitare le tasse di quanto lo siano a fare soldi”. Meccanismi simili, secondo Stiglitz, a quelli che governano i profitti di big tech, spesso legati a un potere monopolistico o quasi e accompagnati dalla capacità di “trarre vantaggio dall’architettura fiscale globale” che al momento offre ampie possibilità di elusione. La tassa minima globale del 15% sulle multinazionali è stata un passo avanti ma, come emerge dal Rapporto sull’evasione fiscale globale dell’Eu Tax Observatory presentato a ottobre, l’accordo raggiunto in sede Ocse prevede così tante eccezioni ed esenzioni da rendere la misura molto debole. Per tacere del livello dell’aliquota, “meno della metà dell’aliquota fiscale media in America Latina, non proprio un grande progresso”, e del fatto che gli Usa non l’hanno nemmeno ratificata. Tutti motivi che rendono cruciale, secondo Stiglitz, il lavoro in corso all’Onu per creare una convenzione quadro sulla tassazione globale. Citato anche nell’ultimo comunicato del G7 dei ministri delle Finanze che sottolinea “l’importanza di decisioni per promuovere una cooperazione internazionale sul fisco inclusiva ed efficace”.

Zucman ha ricordato come negli ultimi anni diverse inchieste giornalistiche abbiano svelato un segreto in precedenza ben custodito: il livello infimo di pressione fiscale a cui sono soggetti Paperoni come Jeff Bezos ed Elon Musk. In parallelo si è però rafforzata la consapevolezza che “questo problema possa essere affrontato a livello collettivo con accordi internazionali sul fisco, cosa che fino a 5 o 10 anni fa era considerata utopistica”. La global minimum tax “pur con tutti i suoi problemi ha una grande virtù, mostra che è possibile fare questo tipo di accordi e che la competizione fiscale internazionale non è una legge di natura, è una scelta politica”. L’ultimo Consiglio europeo, al solito spaccato su debito comune e armonizzazione della tassazione sulle imprese, non fa ben sperare. Ma il palcoscenico del G20, che ha visto la Francia sostenere la proposta di una tassa minima sulle grandi ricchezze, offre un’opportunità preziosa. Tanto più che, come ha ribadito l’economista francese, “non è necessario che tutti i Paesi aderiscano, basta che ci sia una massa critica sufficiente. Possiamo tassare i nostri miliardari e anche tassare quelli degli altri Paesi se in patria non versano abbastanza”. Un prossimo passo potrebbe arrivare a luglio, quando a Rio si riunirà il G20 dei ministri delle Finanze e dei banchieri centrali. Per non perdere l’abbrivio serve però anche il voto dei cittadini: “La tassazione è il tema più importante con cui abbiamo a che fare in veste di elettori: il sistema fiscale raccoglie dal 20 al 50% del reddito nazionale. È molto importante assicurarsi che questi argomenti siano discussi democraticamente in modo approfondito”.

La proposta ha incassato anche il sostegno di Esther Duflo, che nel 2019 insieme al marito Abhijit Banerjee e a Michael Kremer ha vinto il Nobel per “l’approccio sperimentale per combattere la povertà globale“. Il sostegno dei cittadini non mancherebbe, visto che “l’84% degli europei e il 69% degli americani” è a favore di una tassa sui milionari” e “tassare i miliardari sarebbe ancora più popolare. L’economista ha già un’idea chiarissima su come andrebbe impiegato il gettito, pari – stando alle stime dell’Eu Tax Observatory – a 250 miliardi l’anno. Sommando anche i proventi di una tassa minima sulle multinazionali potenziata portandola al 10%, si potrebbero raccogliere 450 miliardi di dollari l’anno. “Più o meno quello che ci serve per pagare il debito che Ue e Usa hanno nei confronti dei Paesi poveri per l’eccesso di mortalità causato dal riscaldamento climatico”, ha quantificato Duflo. “Entro la fine del secolo ci saranno 6 milioni di morti in più ogni anno, tutti nei Paesi poveri, solo per l’aumento delle temperature”. Che è determinato dalle emissioni prodotte prevalentemente nei Paesi avanzati. “Ogni tonnellata di carbonio infligge un danno di 37 dollari in quegli Stati e, insieme, Usa e Ue ne emettono 14 miliardi l’anno”. Basta una moltiplicazione per scoprire a quanto ammonta quello che l’economista definisce “debito morale verso i poveri”: oltre 500 miliardi di dollari. “Quando ho letto la proposta dell’Eu Tax Observatory ho pensato che avrebbe consentito di arrivare quasi a quella cifra”, ha raccontato Duflo. Che immagina di utilizzare i fondi per trasferimenti cash che consentano alle persone di proteggersi dagli eventi atmosferici estremi, aiuti alle organizzazioni locali e contributi ai governi che al momento non hanno le risorse per fare da “assicuratori di ultima istanza” come accade nei Paesi ricchi.

Il Fatto è partner di Oxfam nel promuovere l’adesione in Italia alla raccolta firme per chiedere alla Ue l’introduzione di una tassa a livello europeo. Qui il link al sito La Grande Ricchezza da cui è possibile firmare

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