Sette mesi dopo la sentenza di primo grado, è stata confermata la condanna a 24 anni e mezzo, con la dichiarazione di seminfermità per Alberto Scagni, l’uomo che il primo maggio 2022 uccise a coltellate per strada la sorella a Quinto (Genova) e poche ore prima aveva minacciato l’omicidio in una telefonata con il padre. Il verdetto è stato emesso dai giudici della Corte d’assise d’appello di Genova. Il sostituto procuratore generale Ezio Castaldi aveva chiesto l’ergastolo. Scagni, sette ore prima dell’omicidio, aveva chiamato al telefono i genitori minacciando loro, la sorella e il cognato, se non avesse ricevuto dei soldi. Il padre aveva chiamato la Questura ma le volanti non erano intervenute perché “non c’era un pericolo attuale e concreto”.

La richiesta di aiuto – Da mesi il fratello litigava con i parenti perché chiedeva continuamente soldi, come aveva fatto poche ore prima del delitto (ascolta l’audio). In poche settimane aveva speso il fondo pensione, di 15mila euro, che gli era stato accantonato dai genitori e aveva iniziato a perseguitare la nonna e i vicini di casa. Dopo l’omicidio i genitori hanno denunciato la dottoressa del centro di Salute mentale della Asl3 e gli agenti della centrale operativa che il primo maggio ricevettero le telefonate del padre del ragazzo ma non mandarono le volanti. La procura aveva chiesto l’archiviazione e nei giorni scorsi il gip ha archiviato.

L’archiviazione per agenti e medico – L’eventuale invio di una pattuglia non avrebbe potuto impedire l’evento posto che, per la tipologia del reato, gli operanti, a parte il caso di intervento mentre erano in corso le minacce, non avrebbero potuto ricercare lo Scagni, non avrebbero potuto accedere alla sua abitazione, non avrebbero potuto arrestarlo – ha scritto la giudice Carla Pastorini nel provvedimento di archiviazione – La dottoressa non è rimasta inerte, rifiutando di compiere un atto del suo ufficio, ma ha provveduto in maniera non corretta. La stessa sicuramente non voleva negare un intervento dovuto, ma ha agito con imperizia e negligenza”. In pratica quello avvenuto la sera del Primo maggio era “un delitto imprevedibile”, le chiamate dei giorni precedenti “arrivavano da numeri tutti diversi”. Si trattava di minacce aggravate che “non prevedono neppure l’arresto né alcun obbligo di inviare una volante per raccogliere una querela a domicilio”. Non c’erano “le condizioni che portassero a valutare che il richiedente si trovasse in una tale situazione di pericolo che gli impedisse di uscire di casa e che fosse necessaria una sua immediata tutela. Quanto, poi, avvenuto che ha dimostrato la gravità del pericolo in corso, non può basare la valutazione in esame”. Alberto Scagni si era piazzato sotto casa di Alice e quando lei era scesa in strada con il cane l’aveva colpita con un coltello che si era portato da casa. Gli agenti delle volanti lo avevano arrestato poco distante.

La richiesta dell’accusa – Il sostituto procuratore generale Ezio Castaldi aveva chiesto l’ergastolo. Secondo il pg il delitto fu premeditato e ci sarebbero tutte le aggravanti contestate dal pm in primo grado: il mezzo insidioso, la crudeltà e i futili motivi. Il difensore di Alberto, l’avvocato Alberto Caselli Lapeschi, ha invece sostenuto che il suo assistito ha bisogno di essere curato, che non ha premeditato il delitto e ha chiesto il rito abbreviato puntando a una riduzione di pena rispetto alla sentenza di primo grado. La difesa aveva pure chiesto di applicare la misura di sicurezza in una Rems prima della esecuzione in carcere. L’avvocato Andrea Vernazza, che assiste il marito di Alice, si era associato alla ricostruzione e richieste dell’accusa.

Articolo Precedente

I magistrati antimafia fanno a pezzi l’indulto proposto da Italia viva: “Così si dimezzano le pene. Fuori 23 mila detenuti, soprattutto boss”

next