Nei vari fermo immagine del video del ballo “rilassante” con il morto, lui non compare. Nessuno dei commentatori televisivi lo ha menzionato. Nel riproporre le immagini nel corso dei telegiornali viene citato colui che ha girato e diffuso le immagini. Ma non lui.

Eppure lui c’è. Indossa una felpa chiara. Seduto al suo posto con il capo chino. Sembra provare vergogna. Di sicuro non partecipa. Sto parlando dello studente nell’aula in cui si svolgono i lavori preparatori di una sessione del convegno nazionale sella Società italiana di medicina legale in programma a Catania: esercitazioni con un cadavere coperto da un lenzuolo e il breve intervallo “relax” a tempo di musica. L’ordinario di medicina legale – che forse avrebbe fatto meglio a tacere – si è scusato non tanto per il ballo di gruppo, ma per il fatto che il video sia stato diffuso illegalmente. Il docente ha dichiarato “l’ho fatto a nome di tutti i presenti”.

No, caro docente, non di tutti i presenti. Di quelli che hanno partecipato, certo la maggioranza che ha scelto di aderire alla sua proposta “rilassante”. Forse qualcuno non era del tutto concorde eppure lo ha fatto magari anche per non urtare lo stesso docente. Il ragazzo dalla felpa chiara invece ha scelto e agito secondo la sua testa. Non si è fatto convincere e condizionare dal fattore emulativo: tanto lo stanno facendo tutti. Non ha avuto paura di eventuali conseguenze del “capo-insegnante” del momento presente in aula e ispiratore dell’iniziativa. Il ragazzo è rimasto al suo posto. Seduto. In una veloce carrellata del telefonino lo si vede con le braccia sul banco che sfoglia un quaderno. Non alza la testa: non per codardia quanto piuttosto per grande senso di ciò che è la dignità di scegliere e di non partecipare.

Qualche anno fa, sono convinta, l’attenzione di tutti si sarebbe soffermata proprio su di lui. Ora non più: ora oltre ai protagonisti danzanti si è citato chi ha pigiato il tasto del telefono è messo in rete. Nel video si vede un altro studente che non partecipa: in piedi in fondo all’aula; anche lui sta riprendendo la scena da lontano.
Lo studente che indossa la felpa grigia non ha scelto di dimostrare la sua contrarietà con un telefonino in mano; è il simbolo di un modo di stare al mondo che richiede grande, grandissimo coraggio.

Usare la propria testa, fare secondo la propria coscienza e non secondo quella collettiva della rete, dei social, della gogna mediatica o magari delle stelle del successo per un gesto che lascia il tempo che trova ma diventa virale. Virale. La pandemia del virale. La cura del dissenso in silenzio.

Non è più il tempo in cui la forza del singolo può diventare la forza di un gruppo. Lo studente con la felpa beige mi ha ricordato una frase: “Non permetterò a nessuno di passeggiare nella mia mente coi piedi sporchi”.

e.reguitti@ilfattoquotidiano.it

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