“Sotto l’acqua”, nell’acqua: l’elemento più vitale e multiforme è semplice e complicato allo stesso tempo, come ormai ogni cosa che ci sta attorno. Parliamo della sua purezza e della sua conservazione, a partire da una recente indagine di Greenpeace su un caso grave di inquinamento e di un libro appena uscito, scritto da Fabio Balocco, scrittore e attivista in campo ambientale e sociale, che si intitola Sotto l’acqua (LAR Edizioni).

Il libro di Balocco interessa per il discorso siccità (e anche, un po’, per la recente esplosione nella centrale di Suviana): esamina i casi di molti invasi piemontesi e liguri, da Pontechianale, in valle Varaita a Osiglia, sulle Alpi liguri, da Ceresole Reale a Beauregard, in valle d’Aosta, fino alla diga di Badalucco, in provincia di Imperia, che non fu fatta per la fierissima opposizione dei suoi abitanti. L’autore spiega come gli invasi artificiali, nati in Italia verso la fine dell’Ottocento, sacrificarono molti borghi “sull’altare del progresso nell’arco alpino occidentale, che vide il maggiore sviluppo di grandi impianti idroelettrici”.

Alcune aree si salvarono, come la bellissima Alpe Veglia, nell’Ossola: la conosco bene, così la valle Varaita e Pontechianale. “Riprendendo un progetto dell’Edison risalente agli Anni Trenta, scrive, cioè l’epoca del boom degli impianti, l’Enel voleva seppellire l’Alpe sotto l’acqua, innalzando uno sbarramento nella gola di Groppallo. Ci fu una levata di scudi da parte dei comuni interessati, Trasquera e Varzo e da parte di Italia Nostra e Lions Club. Quando la Regione Piemonte intraprese la salvifica politica di istituzione dei parchi regionali, negli Anni Settanta, l’Alpe Veglia fu tutelata e il progetto cadde”.

Tutto però è sempre a rischio, in un periodo di siccità come questo che chiede energia “verde”: “Così nelle Alpi Occidentali si ipotizza di sommergere una parte della Val Soana e di quella di Viù. E così ecco il progetto mille dighe sull’intero arco alpino, proposto da Coldiretti, Enel, Eni e Cassa Depositi e Prestiti”.

Con le piogge e le piene di queste settimane anche il sindaco di Torino Lorusso ha pensato alla costruzione di nuovi invasi. Bisogna andarci pieno però, significano cementificazione e consumo di territorio; perché intanto non eliminare o ridurre le fortissime perdite della rete idrica, e gli sprechi? Nessuno ci mette mai mano perché “politicamente” rende poco, ma mantenere il territorio e le infrastrutture, invece di alzare ad esempio grattacieli e cattedrali allo spreco (e far felici le multinazionali del cemento e dell’edilizia) sarebbe un fare da lungimiranti amministratori e statisti.

Concorda Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace e autore del recente “Pfas. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua. Storie di diritti negati e cittadinanza attiva” (Altreconomia) che racconta il disastro dei Pfas (composti Poli e perfluoroalchilici), nati dall’attività umana e diffusi in ogni angolo del pianeta: sono cancerogeni, hanno contaminato molti ecosistemi, comprese alcune zone del Torinese. Nessuno ne parla, ma leggete qui.

È la solita storia, spesso gli interessi dell’industria e delle multinazionali della chimica sacrificano la salute delle comunità (a Chiomonte in val di Susa ad esempio), con la complicità delle istituzioni che ignorano o sottovalutano il problema. Dalla causa per crimini ambientali dell’azienda DuPont negli Stati Uniti, l’inquinamento da Pfas ora interessa molte zone dell’Occidente ed è arrivato in Italia, allo stabilimento della Solvay in Piemonte e a quello della Fluorsid in Sardegna, passando per il Veneto, dove i Pfas hanno contaminato l’acqua potabile bevuta da oltre 350mila persone.

Che fare? Le acque minerali in bottiglia sono ancor meno controllate, dice Ungherese. I filtri nel rubinetto aiutano, specie quelli a osmosi inversa: cosa tocca fare, per bere un bicchiere di acqua pura, un bene da non privatizzare, da proteggere, cui ha diritto ogni essere umano.

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