Dal primo aprile scorso è caduto l’ultimo baluardo della ricarica elettrica: il canone flat mensile di A2A. La multiutility padana era rimasta l’unica con tariffe convenienti rispetto al pieno di energia elettrica; in particolare con gli abbonamenti mensili E-Moving Large da 200 kWh e Extra Large da 320 kWh. Ora, il primo passa da 92 a 106 euro (0,53 euro a kWh) e l’ultimo abolito. Sono poi aumentate le ricariche alle colonnine Fast+ e quelle Ultrafast (potenze oltre i 99 kW) che passeranno alle tariffe a consumo previste da A2A, fino a un massimo di 84 centesimi a kWh.

Più che come definito da molti – una “caporetto” della mobilità elettrica – si tratta di “harakiri”. Un suicidio della mobilità elettrica e al tempo stesso alla “mission” di una grande multiutility dell’energia sostenibile. Questi aumenti potrebbero avere una connessione con la decisione di A2A di spendere 1 miliardo e 350 milioni per comperare 800mila contatori da Enel Energia. Si tratta, di fatto, della cessione di un asset monopolistico (contatori, cavi e centraline) da Enel ad A2A anche questa scelta non funzionale per raggiungere obiettivi di economia circolare e di decabornizzazione, visto che l’energia “trasportata” sarà verosimilmente la stessa prodotta oggi da fonti fossili (inceneritore e non solo) al 70% e da fonti rinnovabili solo al 30%. Scelta utile solo per allargare la sfera d’influenza politico-partitica di A2A.

Se solo un anno fa il suo slogan era: “A2A la vera anti Be Charge (network di colonnine per auto elettriche attivo in tutta Italia) della mobilità elettrica” e l’azienda sembrava essere un modello per la ricarica della mobilità elettrica, adesso il colosso padano si è posizionato sui costi più alti in assoluto, ha preferito un accordo per allineare al rialzo le tariffe di ricarica con i maggiori operatori anch’essi pubblici. Decisione inspiegabile alla luce del continuo calo del costo dell’energia (-19,8% in bolletta stabilito da Arera). Con questo rialzo, A2A è passata da paladina a becchina della mobilità sostenibile.

Proprio mentre le prospettive di mobilità sostenibile sono minacciate dal calo delle immatricolazioni, complice l’ansia da autonomia ed i costi di ricarica, invece che rilanciare e sostenere la mobilità elettrica nel bacino nativo di A2A – che guarda caso è il più inquinato d’Europa – si dà la mazzata finale aumentando il costo della ricarica a livelli che rendono quasi concorrenziale la vecchia benzina. L’automobile elettrica sembra non avere speranza in Italia, anche grazie ad A2A.

Prezzi eccessivi per una gran parte della popolazione, colonnine per le ricariche con prezzi sempre più cari, in pochi hanno la disponibilità di un box o posto auto con la la colonnina. Ora cresce il rischio di un dietrofront di molte case automobilistiche. Il mercato tedesco è sceso del 14% nel 2023. Le cause sono da ricercare nei tagli dei contributi statali, negli alti prezzi prezzi delle auto elettriche e nell’ inflazione. A questo si aggiungono i ritardi nella crescita delle strutture di ricarica il numero di colonnine sono cresciute ma a ritmo minore rispetto alle aspettative e il parziale dietrofront delle compagnie di noleggio, che stanno riducendo gli acquisti a zero emissioni per le loro flotte.

Insomma grazie all’integrazione del network con gli altri operatori, sostiene A2A, si sono dovuti aumentare i prezzi. Non solo ma il calo dei costi della materia prima non sopperirebbe agli aumenti dei fantomatici “oneri di sistema” dietro ai quali tutto viene giustificato da Arera agenzia di regolazione che nulla può davanti ai colossi energetici statali o comunali.

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