Ha riportato la Roma in corsa per la Champions (a -3 dal Bologna quarto in classifica, ma considerando che quest’anno quasi sicuramente l’Italia avrà un posto extra e basterà arrivare quinti, oggi i giallorossi sarebbero qualificati). È tornato a vincere un derby che mancava da oltre due anni e che nelle ultime stagioni aveva portato quasi solo sconfitte e delusioni. Soprattutto, e questo conta forse anche più del resto, ha semplicemente restituito alla Roma la voglia e l’attitudine di giocare a calcio. Insomma, si potrebbe dire che per la Roma ha fatto più De Rossi in tre mesi che Mourinho in tre anni.

Quella dei Friedkin sembrava una mossa suicida: esonerare un allenatore ancora inspiegabilmente idolatrato dall’intera città, per affidarsi a un figlio di Roma senza esperienza, a cui nessuno avrebbe addossato la colpa di un eventuale fallimento, che sarebbe ricaduto tutta sulla società. Invece mai avvicendamento fu più felice. Quando è arrivato a metà gennaio, la Roma era una squadra a pezzi. Adesso è una squadra.

I tifosi non se ne sono mai accorti e forse non l’hanno capito fino in fondo neanche adesso, quando è ormai evidente che un’altra Roma era possibile. L’esperienza di Mourinho nella Capitale è stato un fallimento sotto tutti i punti di vista: tre anni di non gioco e risultati mediocri, mascherati da due finali europei (una vinta che però non contava quasi nulla e l’altra persa). L’obiettivo dichiarato fallito (tornare in Champions), a fronte di investimenti importanti: due anni fa un mercato da quasi 100 milioni e tutt’oggi il terzo monte ingaggi della Serie A, infarcito di vecchie glorie costosissime che lui ha voluto in rosa. Un cumulo di macerie tattiche, tecniche ed emotive, che Mou avrebbe lasciato comunque a fine stagione, anche senza esonero.

In pochi mesi, a De Rossi è riuscito esattamente il contrario di ciò che aveva fatto il suo predecessore. Ha riunito uno spogliatoio spaccato. Ha rivitalizzato giocatori centrali della rosa, come Pellegrini. Ha coinvolto anche quelli che sembravano ormai ai margini del progetto, esaltando il collettivo, mentre prima non si perdeva occasione per puntare il dito contro i singoli. Ha restituito fiducia a una squadra forte, che si era convinta di non esserlo, a furia di critiche e sparate sul mercato da parte del suo ex allenatore. Ha costruito qualcosa su cui si potrà provare a ipotizzare un futuro, anche se la Roma per le scelte scellerate dell’ultimo triennio rimane una squadra praticamente da rifondare.

Con questo, è evidente che De Rossi non ha ancora fatto nulla. Il finale con quasi tutti scontri diretti in campionato (Bologna, Napoli, Juve, Atalanta, Milan) e il derby in Europa League sarà da brividi. C’è già chi lo aspetta al varco, pronto a rinfacciargli l’eventuale eliminazione in una sfida in cui i giallorossi partono comunque da sfavoriti, a tirar fuori paragoni con il percorso europeo di Mou (oggettivamente notevole). Può essere ancora tutto o niente, apoteosi o fallimento, almeno sul piano dei risultati (sul resto il bilancio sarà comunque positivo). Ma se alla fine la Roma dovesse riuscire a conquistare la qualificazione in Champions League, che vale decine di milioni di euro, sicuramente più di una coppetta di terza fascia, perché permetterebbe alla Roma dei Friedkin di fare finalmente un salto di qualità. Il principale obiettivo di qualsiasi club nel calcio moderno, lo stesso per cui era stato ingaggiato e che Mourinho non è mai riuscito a centrare. Se davvero dovesse farlo oggi De Rossi, allora non sarà più solo un’opinione: per la Roma avrà fatto più lui in tre mesi che Mourinho in tre anni.

Twitter: @lVendemiale

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