Crisi di liquidità. A fronte delle crescenti spese legali che Donald Trump deve affrontare nei quattro processi in cui è imputato, la mancanza di cash sta facendo emergere il lato più oscuro del suo modo di mischiare affari e politica capitalizzando sul nome. Si è sempre detto ‘follow the money’ ed è quel che stanno facendo i giudici americani dopo aver scoperto che l’ex presidente aveva gonfiato a dismisura il valore dei suoi beni. La verità è che lo pseudo-ricco dai capelli arancioni non ha soldi. I suoi vari business sono farlocchi e pieni di debiti – come dimostra la quotazione in borsa del social Truth – e gli avvocati per difendersi nei vari processi costano. Così stanno venendo alla luce quei due-tre personaggi disposti ad aiutare Trump mettendoci capitali, mentre lui cerca un altro giro alla Casa Bianca (ricordiamo che è il primo presidente in 40 anni a non essere stato rieletto per un secondo quadriennio).

In ogni caso non ha senso paragonare l’accanimento giudiziario ‘politicamente motivato’ contro Berlusconi a quello dei magistrati statunitensi nei confronti di Trump. Quest’ultimo è mille volte peggio di Silvio, non foss’altro perché, al contrario del fondatore di Mediaset, Donald è un imprenditore seriale dei fallimenti.

Soprattutto in questa fase, il denaro che riesce a raccogliere è camuffato da sostegno politico da parte dei fan trumpiani accecati dal fideismo (ma Biden raccoglie di più: per ora 128,6 milioni contro i 96,1 di Trump) ma soprattutto di qualche spregiudicato ricco arrivista repubblicano. Se un tempo era Deutsche Bank a prestare soldi al presidente n. 45, adesso solo i finanziatori di fascia bassa sono disposti a trattare con lui, gente che scommette sul futuro politico di The Donald – semmai il vecchio, caduco e smemorato Biden non riuscisse a prevalere alle presidenziali di novembre.

Le uniche persone che si avvicinano a un Trump giudicato finanziariamente ‘tossico’ sono individui facoltosi che vogliono essere associati a lui, al suo potenziale potere giocato sull’appeal populista: la nazione è in crisi d’identità e si vede. In particolare, sono due i personaggi che hanno aiutato il tycoon negli ultimi tempi: Don Hankey e Anton Postolnikov. Don Hankey, 80 anni, miliardario californiano, patrimonio netto 7,5 miliardi, conosciuto come il re delle concessionarie auto subprime di Los Angeles (finanzia acquisti di veicoli a tassi molto alti) ha organizzato per Trump la cauzione di 175 milioni di dollari nella causa per frode civile al tribunale di New York (dove Donald è sotto processo per aver gonfiato il valore delle sue aziende). Hankey è anche il maggiore azionista di Axos Financial, che ha rifinanziato un prestito di 100 milioni per la Trump Tower su Fifth Avenue (sull’orlo del default) e altri 125 milioni di dollari per un palazzo Trump a Doral, in Florida.

Il secondo personaggio è Anton Postolnikov, secondo uno scoop di The Guardian uomo d’affari russo-americano, nipote di Aleksandr Smirnov, ex viceministro della Giustizia a Mosca, amico e alleato del presidente russo Vladimir Putin. La Trump Media, società creata nel 2021 per lanciare il social media Truth (un colabrodo: nel 2023 ha perso 58,2 milioni di dollari con 4,1 milioni di fatturato e 5 milioni di utenti unici) è stata salvata dalla bancarotta solo grazie a un prestito di 8 milioni elargito proprio dall’amico di Putin, Postolnikov. Senza quei fondi la società di Trump non sarebbe mai potuta sopravvivere né quotarsi a Wall Street. Il problema? Alla Trump Media nessuno prestava un dollaro, non solo il business model era un clamoroso fake ma in seguito all’attacco al Campidoglio del 6 gennaio 2021 le banche si erano chiuse (giustamente) a riccio.

Ed ecco prevalere il lato oscuro del capitalismo da ‘meme politico’ su cui l’ex presidente ha giocato e gioca le sue fortune. Il business fasullo ha portato Trump Media a richiedere prestiti di emergenza, anche a un’entità chiamata ES Family Trust, che ha aperto un conto presso Paxum Bank, piccola banca registrata nell’isola caraibica di Dominica, nota soprattutto per i finanziamenti all’industria del porno, come risulta da un report pubblicato dal Miami Herald. ES Family Trust operava come società di comodo per Anton Postolnikov, comproprietario della Paxum Bank e oggetto di un’indagine penale federale congiunta da parte dell’Fbi e del Dipartimento per la Sicurezza Nazionale (Dhs).

Ora l’uomo d’affari russo è indagato nell’ambito delle indagini sulla fusione Trump Media per dare vita a Truth Social. Gli investigatori americani hanno inserito il russo in dichiarazioni giurate per alcuni mandati di perquisizione insieme a diversi suoi soci, uno dei quali il mese scorso è stato incriminato per riciclaggio di denaro, oltre a precedenti accuse di insider trading. Si direbbe una bella banda bassotti con qualche inclinazione a commettere reati finanziari, fiscali, penali. Al confronto, Berlusconi era Andrew Carnegie. E la Santanché una principiante alle prime armi. Stando così le cose, sarà mai fatta giustizia? Avere seri dubbi è più che lecito. In Italia e in America.

TRUMP POWER

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