Moda e Stile

Chanel vs Hermes, chi ha le borse più care? La gara all’aumento dei prezzi rallenta il mercato del lusso: boutique vuote e pochi scontrini. A mancare all’appello è la classe media

Hermés non è certo il solo a giocare con la strategia marketing dell'attesa e dell'offerta limitata. Anche la rivale Chanel lo fa, ça va sans dire, per non parlare di Rolex, che ha adottato un sistema simile di liste d'attesa e selezione della clientela consentendo l'acquisto di determinati modelli dei suoi orologi solo a determinati clienti fedelissimi e selezionatissimi

di Ilaria Mauri
Chanel vs Hermes, chi ha le borse più care? La gara all’aumento dei prezzi rallenta il mercato del lusso: boutique vuote e pochi scontrini. A mancare all’appello è la classe media

“Non si può essere il meglio senza essere al contempo il più costoso”. Così ha detto qualche giorno fa Bruno Pavlovsky, il presidente del settore moda di Chanel, commentando con WWD l’ennesimo, ulteriore, aumento di prezzi da parte dell’iconica maison francese. Pensate, la sua classica borsa nera – la Chanel Flap – costa, nella misura media, oltre 10 mila euro, il 6,2% rispetto all’inizio dell’anno (e siamo solo ad aprile). Sì, avete capito bene: quanto una macchina o un lingotto da 150 grammi d’oro. Ma soprattutto, costa 1.000 dollari in più rispetto alla Kelly 25 Togo Retourne di Hermès. Ed è così che si comprende appieno il significato delle parole di Pavlosky. Sì, perché da un paio d’anni ormai, Chanel ha ingaggiato una “guerra” con Hermès per contendersi la supremazia nel mondo del lusso, sfidando la maison rivale a colpi di aumenti di prezzo e scarsità di prodotti. In gioco non c’è solo il posizionamento sul gradino più alto del podio dei brand più desiderabili ed esclusivi, ma un giro d’affari milionario composto dagli acquisti di quel 2% di clienti più ricchi che è ora responsabile di oltre il 40% delle vendite totali del lusso.

Tutto questo genera ricadute a catena anche sugli altri brand, prontamente corsi a ritoccare vertiginosamente i loro prezzi, mentre la creatività sprofonda nell’abisso dell’omologazione o, peggio, capitola davanti alla forza del logo e dei modelli d’archivio. Emblematico, in tal senso, il dolcevita monocolore di Loro Piana tanto caro ai guru della Silicon Valley, divenuto l’emblema del “quiet luxury”: 8.600 euro per un maglioncino nero.Di cachemire, per carità, ma magari prodotto sfruttando le comunità indigene come è successo in Perù. Ufficialmente i marchi danno la colpa all’inflazione e all’aumento dei costi, ma è solo una strategia di posizionamento: tutti vogliono diventare i nuovi Hermès o Chanel. Prendiamo Gucci: la sua GG Marmont ha messo a segno un +75% sul prezzo del cartellino mentre una massiccia campagna comunicativa costruiva il mito di Sabato De Sarno, il nuovo direttore creativo chiamato a “ripulire” l’estetica del brand dopo gli anni del massimalismo di Alessandro Michele. Risultato? Gli scaffali delle boutique si sono riempiti di con capi “basici” alla Zara e le previsioni di Kering per il primo trimestre 2024 indicano un calo delle entrate del 20%. Ahia.

Secondo Business of Fashion, dobbiamo aspettarci all’orizzonte un aumento del 8-9% anche sui prezzi delle borse Hermès ma a frenare la corsa della maison francese potrebbe pensarci un tribunale. Sì, perché martedì scorso a San Francisco, in California, è stato avviato il processo che vede la casa di moda accusata di aver violato le norme che regolano la concorrenza limitando l’acquisto delle borse Birkin, il suo modello più iconico. Ad intentare la causa sono state Tina Cavalleri e Mark Glinoga, clienti deluse (ma soprattutto furibonde) per aver dovuto comprare un cospicuo numero di altri oggetti e accessori tra cui profumi, scarpe, cinture ecc. prima di poter esser anche solo inserite nella lista d’attesa per la Birkin. Nella loro denuncia si legge che Hermès ha messo in atto uno “schema che obbliga i clienti ad acquistare prodotti secondari, prima che venga loro data l’opportunità di acquistare una Birkin. A differenza di molti altri prodotti venduti dal brand, le borse Birkin non possono essere acquistate online e raramente sono in esposizione in negozio. Gli acquirenti non possono, semplicemente, entrare in store e comprarle. Solo dopo essersi così costruiti una reputazione presso Hermès sarà loro offerta la possibilità di acquistare anche una Birkin. E solo chi è ritenuto degno si vedrà mostrare una Birkin in una stanza privata della boutique”. Certo, tutto questo non è una novità per gli appassionati di moda: già nel 2002, in una puntata della serie tv “Sex and the City” una della protagoniste, Samantha, provava a comprare una Hermès sentendosi rispondere dal commesso che c’era una lista d’attesa di cinque anni perché “non è una borsa, è una Birkin”.

Comprensibilmente, la notizia ha scatenato un’ondata di polemiche e indignazione, eppure Hermés non è certo il solo a giocare con la strategia marketing dell’attesa e dell’offerta limitata. Anche la rivale Chanel lo fa, ça va sans dire, per non parlare di Rolex, che ha adottato un sistema simile di liste d’attesa e selezione della clientela consentendo l’acquisto di determinati modelli dei suoi orologi solo a determinati clienti fedelissimi e selezionatissimi. Peccato però che alcuni di questi approfittino del “privilegio” per comprarli su commissione per conto terzi o rivenderli a cifre folli nei mercati paralleli, ma questa è un’altra storia. Se da una parte questo sistema sta trasformando le borse di lusso in beni rifugio oltre che oggetti di culto, ricercati non solo per la loro bellezza e fattura artigianale, ma anche per il loro valore come investimento e per il potenziale di rivalutazione, a far scattare l’allarme ai nostri occhi è stato il recente annuncio del Ceo di Nike. Matt Friend ha fatto sapere che il marchio sportivo ha deciso di iniziare a ridurre la produzione delle Air Force 1, una delle sue scarpe più vendute: “Stiamo diminuendo la manifattura di modelli, come le Air Force 1” ha ammesso Matt Friend, CFO di Nike. Il motivo? Ufficialmente dare spazio a nuovi prodotti, in realtà è il primo passo per riposizionare questo prodotto da sneakers alla portata di tutti (il modello base costa 119 euro sul sito ufficiale Nike) a capo esclusivo. Ed è questo il segnale più importante che deve metterci in guardia sul rischio che il mondo della moda perda il contatto con la realtà.

L’1% di super ricchi, i “Paperoni” mondiali responsabili del 40% degli acquisti di lusso, ha trainato la ripresa dell’economia globale nel post-pandemia, spendendo più che mai nel lusso e diventando così il target dei brand. È scattata una vera e propria rincorsa per conquistarsi le loro attenzioni attraverso strategie sempre più sofisticate, tra cui esperienze personalizzate in negozio e narrazioni che “epiche”, con l’obiettivo di aggiudicarsi la loro fedeltà e aumentare la spesa a lungo termine. Lo scoppio di due guerre e l’incertezza economica globale ha portato però negli ultimi mesi a un rallentamento della crescita del mercato del lusso: i brand hanno reagito avvinghiandosi ancora di più a quell’1% di “VIC”, “clienti molto importanti”, i cui budget sono meno vulnerabili alle turbolenze dei mercati. Ma sta funzionando? Non proprio, o meglio, non quanto sperato. Basta fare un giro nei quadrilateri della moda di Milano, Parigi o Londra: non nel weekend, quando tutti escono per lo struscio, ma in settimana. Le boutique del lusso sono vuote e non si battono scontrini. L’aumento dei prezzi, unito al carovita, ha infatti tagliato fuori i cosiddetti “clienti aspirazionali”, ovvero quelle persone della classe media che una volta risparmiavano per concedersi qualche pezzo griffato da sfoggiare con amici e parenti. Parliamo di quella fascia di consumatori, situata per lo più nella parte alta della classe media, che fino ad oggi ha mosso il vero volume d’affari delle case di moda comprando cinture, profumi, occhiali, portafogli, t-shirt… Insomma, gli accessori e i capi di “primo prezzo” di tendenza in quel momento. Questi clienti non sono milionari o miliardari, ma aspirano a quel tipo di stile di vita e comprano occasionalmente prodotti di lusso, magari come regalo di Natale o per il compleanno. Finora sono stati un segmento chiave per il mercato del lusso ma oggi il divario tra aspirazione e prezzi è troppo alto e sempre di loro finiscono per rinunciare all’acquisto. Quando si devono far quadrare i conti per arrivare a fine mese capite bene che diventa sempre più difficile giustificare anche solo a sé stessi una spesa da 4000 o 5000 euro per una borsetta. Eppure, allo stato attuale, le folli leggi dei mercati ci dicono che è più sicuro e redditizio investire i propri risparmi comprando una borsa piuttosto che azioni o titoli di Stato. È la moda, bellezza.

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