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Naufraghi per scelta: le vacanze nella Natura selvaggia di un’isola deserta sono la nuova tendenza. Ecco come funzionano

Soggiornare su un’isola tropicale tutta per sé: quanti ci hanno pensato? Ma c’è chi lo fa davvero, facendosi abbandonare per qualche giorno su un’isola deserta

Testo e Foto di Giuliana Lomazzi
Naufraghi per scelta: le vacanze nella Natura selvaggia di un’isola deserta sono la nuova tendenza. Ecco come funzionano

Mare cristallino, palme, spiagge di sabbia bianca e finissima: quando si è ritrovato tutto solo su un’isoletta indonesiana, al giovane tedesco Steven Rambousek sembrava di entrare in paradiso. Ma dopo un favoloso tramonto, ecco i primi problemi. Il fuoco che fatica ad accendersi perché la legna è umida, la lampada frontale che è rimasta aperta durante il viaggio e si è scaricata sono le premesse per una notte da incubo, accompagnata dallo svolazzare di enormi pipistrelli. Il giorno dopo, tra pioggia battente e fulmini, Steven si accorge che l’albero sotto cui si ripara è già stato folgorato… Ma per quanto intensa, l’esperienza si rivela positiva e stimolante. Similmente a lui, un giovane imprenditore inglese, Ben Saul-Garner, è sopravvissuto su un’isoletta per dieci giorni mangiando cocco e granchi e raccogliendo legna per il fuoco. Se questi viaggiatori un po’ fuori dalla norma, e molti altri come loro, hanno potuto rivestire i panni di Robinson lo devono ad Alvaro Cerezo, uno spagnolo patito per le isole.

L’esperto di isole
Fin da giovanissimo, Alvaro solcava su un canotto gonfiabile il braccio di mare tra Spagna e Marocco a caccia di piccole baie e isolette. Crescendo, il raggio di azione si ampliò fino agli arcipelaghi di Indonesia, Micronesia e Filippine. Forte di questa vasta e singolare esperienza, nel 2010 fondò l’agenzia Docastaway, un mix dei vocaboli inglesi do (fa’) e castaway (naufrago). Che all’inizio attirò solo gli amici ma poi, grazie allo sviluppo del turismo della wilderness, cominciò ad ampliare la clientela. Del resto, la fuga dal mondo lui la sa organizzare con cura. Ogni isola deve soddisfare una serie di requisiti: non essere troppo remota, per evitare che si impieghi troppo tempo per il viaggio, ma nemmeno vicina alle rotte di navigazione – il “naufrago” non vuole vedere tracce di civiltà. Per questo motivo vengono tenuti alla larga i pescherecci (pagando l’equipaggio) e l’isola viene presentata priva di rifiuti portati dal mare (plastica in primis). Sicuramente il “naufrago” non vuole neanche vedere pirati, quindi l’isola è lontana dai mari infestati, e la polizia viene pagata per tener lontani i guai. Infine l’isola, che viene affittata da un privato o dallo Stato, deve disporre di acqua dolce e di cibo sufficienti per la sopravvivenza e naturalmente non deve essere popolata di animali pericolosi.

Comfort o survival
Il viaggiatore può scegliere tra l’opzione comfort, con personale di appoggio a fornire cibo, acqua, un rifugio sicuro ecc, e l’opzione survival, per la quale si dispone al massimo di un machete o di una fiocina. Per questa esperienza in meravigliosi arcipelaghi, distribuiti tra Polinesia, Indonesia, Filippine o America Centrale, i prezzi oscillano tra 90 e 380 € a notte per il solo soggiorno, che solitamente dura una settimana. Chi sono questi viaggiatori? Certamente persone che vogliono sfuggire alla quotidianità e mettersi alla prova per testare i propri limiti; ma con molta probabilità si tratta anche di appassionati di bushcraft (l’insieme delle tecniche e conoscenze che insegnano a sopravvivere in un ambiente selvaggio).

Riscoprire la natura

Secondo Google Trends, a partire dal 2004 le tecniche di sopravvivenza conoscono un interesse crescente e hanno sperimentato un boom nel 2023. Hanno favorito il trend – rivelatosi prezioso per Docastaway – trasmissioni tv come Uomo vs. Natura (o L’ultimo sopravvissuto, un docu-reality) o Il sopravvissuto, un reality avventuroso condotto dall’esperto di sopravvivenza Les Stroud. Negli ultimi anni sono ricercate abilità di sopravvivenza come il foraging, la capacità di accendere fuochi e di costruire rifugi. Per rendersene conto, basta digitare “bushcraft” su YouTube per scoprire video e tutorial che insegnano un po’ di tutto, dall’usare un coltello a costruire un rifugio e a passare una notte all’addiaccio. Per esempio i video umoristici di “Ray Beers”, sul canale YouTube Haze Outdoors, hanno oltre 100.000 iscritti. Non va molto diversamente digitando il termine su Facebook o su TikTok. Secondo Liza Fenton, etnobotanica e antropologa alla University of Cumbria,”Il bushcraft sviluppa qualità interiori come pazienza, perseveranza, umiltà, osservazione e resilienza. Le persone si sentono rafforzate, più autonome e meno dipendenti dagli altri”. I nativi insegnano ai giovani tutto ciò, ma nelle società occidentali non lo si fa perché si ritiene superfluo imparare a riconoscere piante medicinali o funghi eduli ma, aggiunge l’esperta, “queste sono le competenze umane di base che ci hanno mantenuti vivi per millenni”.

Imparare a sopravvivere
E così, si prova a riprendere il contatto con la natura su un’isola deserta o seguendo corsi di sopravvivenza nei boschi o in montagna. O nel deserto, come propone Desert Island Survival, un’esperienza di 8 giorni ideata da Tom Williams, ex lavoratore della finanza e ormai ex depresso. Nei suoi corsi si impara a cercare acqua e cibo, a intrecciare letti e ceste con rami di palma e molto altro, dietro pagamento di circa 3500 €.

Natura di lusso
Sono tutte esperienze ricche di fascino e coinvolgenti, che certo richiedono coraggio, ancor più per restare soli soletti su un’isola lontana… Ma c’è pure la soluzione per una full immersion in paesaggi incontaminati senza rinunciare alle comodità: piattaforme come Airbnb offrono vacanze con tutti i comfort in dimore sperdute ai quattro angoli del mondo, anche tra i fiordi norvegesi e le isole scozzesi. Natura lussureggiante, sì, ma non senza lussi!

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