Non stanno andando bene per il governo le audizioni sul decreto Sanzioni nelle commissioni Giustizia e Finanze della Camera. Tutti gli addetti ai lavori hanno chiesto modifiche al provvedimento che riforma il sistema sanzionatorio in materia di imposte riducendo le sanzioni amministrative e introducendo nuove cause di non punibilità penale. Il Consiglio nazionale dei commercialisti e i tributaristi Benedetto Santacroce e Felice Uricchio hanno avvertito nei giorni scorsi che le norme più favorevoli per il contribuente dovrebbero entrare in vigore retroattivamente in base al principio dal favor rei, cosa che è stata esclusa per non aprire un buco nei conti ma oltre a non essere in linea con i criteri della delega è passibile di incostituzionalità. Il tributarista Tommaso Di Tanno ha invece ribadito le critiche sul fronte dei profili penali, che nei fatti renderanno ancora più conveniente non pagare il dovuto.

Di Tanno ha sottolineato che il punto dirimente non è la riduzione delle sanzioni amministrative, che risultano “abbastanza indifferenti” perché “il fenomeno evasivo principale che stiamo fronteggiando è l’evasione da riscossione: il dovuto viene dichiarato ma non viene pagato“. Complici le ripetute rottamazioni, “le imprese che potrebbero accedere al credito bancario o reperire diversamente la liquidità preferiscono trovarla a carico del fisco perché costa di meno sia dal punto di vista economico sia finanziario”, nel senso che per farsi prestare i soldi sul mercato “bisognerebbe sottoporsi a un giudizio sul merito di credito” con il rischio di ottenere come risposta un no. Al contrario “basta non pagare le imposte”: in teoria facendolo si rischiano sanzioni e interessi, “ma la storia dimostra che le sanzioni vengono sistematicamente ridotte e gli interessi cancellati“. Così “attraverso procedure come la rottamazione si legittimano comportamenti ampiamente antisociali che si manifestano nell’omissione del versamento”.

Quello su cui vale la pena concentrarsi, quindi, è l’allargamento delle cause di non punibilità, che “vengono estese proprio riguardo all’evasione da omesso versamento: vengono considerate cause di non punibilità l’inesigibilità di crediti da parte di terzi, il mancato pagamento di crediti da parte della pa e la non esperibilità di azioni idonee al superamento della crisi”. Ma “il mancato pagamento di un credito”, nota Di Tanno, “fa parte del rischio di impresa, che non può diventare giustificazione per evitare la punizione da omesso versamento. È un’esagerata tutela degli interessi del debitore. Meglio sarebbe gestire quella situazione con una dilazione di pagamento”. Quanto al mancato pagamento di crediti da parte della pa, l’esperto ha fatto notare che “la fattispecie è disegnata in modo inaccettabile visto che per definizione la pa è una controparte solvibile” e “si presta ad aggiramenti”. Per far fronte al problema dei mancati versamenti sarebbe più opportuno consentire la compensazione dei crediti liquidi verso un ente pubblico con le imposte dovute”. Infine, per il tributarista va chiarita la terza fattispecie: “Se “azioni idonee al superamento della crisi” vuol dire che evitino qualsiasi procedura concorsuale, attribuiremmo all’imprenditore malaccorto un privilegio inaccettabile rispetto a chi ha altri tipi di reddito e può vivere situazioni analoghe”.

Bocciata anche la previsione che nel processo penale si tenga conto delle definizioni del rapporto tributario acquisendo le sentenze o gli atti di accertamento “ai fini della prova del fatto”. Per Di Tanno la formulazione è “pericolosa sotto il profilo erariale, perché riduce l’appetibilità della definizione tramite accertamento con adesione” in cui di norma “le parti si fanno reciproche concessioni”: la possibilità che i fatti ammessi siano usati in sede penale potrebbe diventare un deterrente rispetto all’ammissione di qualche irregolarità in vista di un accordo con le Entrate.