L’adesione alle rottamazioni che stanno aprendo una voragine dietro l’altra nei conti dell’erario, perché i contribuenti dopo aver aderito smettono di pagare, diventa una causa strutturale di non punibilità dell’evasione fiscale. Con il risultato di “rendere ancora più conveniente il mancato pagamento delle imposte”, come riassume parlando con ilfattoquotidiano.it il tributarista Tommaso Di Tanno. Non solo: chi rateizza il debito sarà meno esposto al sequestro dei beni finalizzato a preservare una garanzia a favore del fisco. Una novità che secondo Gian Gaetano Bellavia, commercialista esperto di diritto penale dell’economia, “favorisce i malandrini” perché “spogliarsi di quei beni vendendoli a un terzo in buona fede è facilissimo. Poi i proventi possono essere fatti uscire dal conto corrente verso una società estera, attraverso fatture false, e il gioco è fatto”.

Eccolo il punto di caduta dello schema di decreto approvato giovedì scorso dal governo Meloni, che riscrive il sistema sanzionatorio in materia di imposte riducendo le sanzioni amministrative a un massimo del 120% della cifra non versata in caso di omessa dichiarazione e 70% per chi presenta dichiarazione infedele. Quanto al penale, l’omesso versamento di ritenute per oltre 150mila euro e Iva sopra i 250mila – oggi punito con la reclusione da sei mesi a due anni – viene depenalizzato se il debito risulta “in corso di estinzione mediante pagamenti rateali” e il beneficio resta pure per chi smette di saldare le rate, a patto che manchino all’appello meno di 50mila euro di ritenute e 75mila euro di Iva. In più si conferma la decisione di depenalizzare l’evasione “di necessità“, cioè dipendente da “cause non imputabili all’autore”: il giudice dovrà tener conto della “crisi non transitoria di liquidità dovuta alla inesigibilità dei crediti per accertata insolvenza o sovraindebitamento di terzi o al mancato pagamento di crediti certi ed esigibili da parte di Amministrazioni pubbliche“.

Il tributarista Di Tanno è tranchant nel demolire la depenalizzazione, rivendicata dal viceministro con delega al fisco Maurizio Leo. “Questa novità si aggiunge alla scappatoia già prevista nel decreto Bollette per chi avesse aderito alle rateizzazioni previste in legge di Bilancio mettendosi in regola solo tra sentenza di primo grado e appello. Non pagare il dovuto diventa ancora più appetibile, perché le imprese quando sono a corto di liquidità si fanno i conti: è più conveniente chiedere un prestito in banca o non versare il dovuto all’erario?”. Più le sanzioni amministrative e penali vengono tagliate, più la bilancia pende in favore della seconda opzione. “Anche perché la banca prima di concedere i soldi fa una valutazione del merito di credito e chiede delle garanzie, come il fatto che prima di aver rimborsato il debito l’azienda non stacchi dividendi. Invece, chi recupera liquidità a danno del fisco può tranquillamente distribuire profitti ai soci”. Così l’agente della riscossione, come lamentato dalla Corte dei Conti, si trasforma nell’equivalente di una finanziaria che concede prestiti a “una massa di debitori a elevato rischio di inesigibilità“. In questo quadro, il provvedimento del governo “finisce per essere oggettivamente uno stimolo a reiterare un comportamento antisociale, la violazione delle norme fiscali”, chiude Di Tanno.

“Ci avviciniamo alla Svizzera, dove il reato tributario non esiste”, è l’analisi di Bellavia. “Basterebbe dirlo, invece che infilare queste depenalizzazioni perché si vuol recuperare qualche soldo dai pagamenti a rate”. L’esperto storce il naso anche di fronte alla scelta di invitare il giudice ad astenersi dal sequestro dei beni finalizzato a confisca se il debito tributario è stato rateizzato, a meno che “sussista il concreto pericolo di dispersione della garanzia patrimoniale, desumibile dalle condizioni reddituali, patrimoniali o finanziarie del reo”. Così si lascia estrema discrezionalità alla magistratura, ma per l’esperto che è anche consulente di diverse procure l’esito sarà quello di “lasciare chi ha scelto di non pagare le tasse libero di vendere i propri beni, magari con un piccolo sconto, e tenersi i soldi”. Mentre l’Agenzia delle Entrate, anche in questo caso, resta a bocca asciutta. “Tra l’altro non capisco quale sia la ratio della misura, visto che il sequestro non è un pregiudizio permanente: una volta pagato il debito, gli immobili e gli altri beni verrebbero restituiti”.

Meno delicata, per Bellavia, la previsione di non punibilità per chi a sua volta non riesce a incassare da un cliente insolvente i crediti che gli spettano: “Mi pare si cerchino di arginare possibili fallimenti a catena a spese del debito pubblico, cioè di figli e nipoti che dovranno farsene carico. Ma non giudico male la norma: definisce meglio una causa di forza maggiore in presenza della quale già oggi il contribuente va considerato non punibile perché manca l’elemento soggettivo del reato, il dolo”.

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