Hanno letto ampi passaggi dell’ordinanza di custodia cautelare durante una conferenza stampa organizzata al Comune di Bari. Con tanto di maxischermo, su cui scorrevano le pagine dell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia. Un escamotage che purtroppo non sono riusciti a replicare in televisione, accontentandosi di mostrare la schermata di uno smartphone. Non sono gli attivisti di un’associazione antimafia e neanche quelli del Movimento 5 stelle delle origini, quando Alessandro Di Battista passava le ore davanti alla villa di Arcore, leggendo al megafono le motivazioni della condanna di Marcello Dell’Utri. Quella, però, era una sentenza definitiva. A questo giro, infatti, pure gli stralci della richiesta della procura diventano buoni per essere agitati in diretta televisiva. Il bello è che a usare le accuse contenute nei documenti degli investigatori come armi politiche sono vari esponenti del centrodestra. Ma come? Proprio lo stesso schieramento che dà sempre fa la guerra ai cosiddetti giustizialisti e in Parlamento approva ogni tipo di legge per imbavagliare la stampa giudiziaria? Lo stesso fronte che è nemico giurato della diffusione delle carte d’indagine, delle intercettazioni, persino della pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare? Sissignore, proprio loro.

La mossa del Viminale – A provocare il cortocircuito tra quelli che storicamente sono i sedicenti custodi del “garantismo” e della “presunzione d’innocenza” è il caso Bari. Come è noto, infatti, la nomina da parte del Viminale della commissione d’accesso per verificare lo scioglimento del comune per infiltrazioni mafiose ha provocato roventi polemiche. Sabato scorso il sindaco di centrosinistra, Antonio Decaro, ha raccolto il sostegno di migliaia di cittadini, durante una manifestazione pubblica. Un evento che ha portato la destra ad alzare il tiro. Prima puntando sulle controverse dichiarazioni di Michele Emiliano relative alla visita a casa della sorella di un boss locale. E poi su una foto che ritrae lo stesso Decaro con un’altra parente del medesimo boss. Dopo aver incassato l’ennesima replica del primo cittadino, evidentemente, a destra hanno perso la calma. E sono andati a recuperare le carte dell’inchiesta che nel febbraio scorso aveva portato all’arresto di 130 persone, accusate di essere legate ai clan cittadini. La procura, come è noto, ipotizza il voto di scambio alle elezioni amministrative del 2019. Nell’indagine è coinvolta anche Maria Carmen Lorusso, consigliera comunale eletta col centrodestra e poi passata col centrosinistra.

Lo show del leghista – È da quell’inchiesta che è partito l’iter del Viminale guidato dal leghista Matteo Piantedosi. Proprio oggi la commissione d’accesso nominata dal Ministero è arrivata al comune di Bari. Ed è all’interno del consiglio comunale i parlamentari del centrodestra hanno tenuto una conferenza stampa. C’era anche Davide Bellomo, esponente della Lega, armato di una serie di fogli, con interi passaggi evidenziati in giallo. “Leggo una cosa che è sui giornali, perché se voi cercate su internet troverete l’ordinanza di custodia cautelare già pubblicata, sappiamo che questa è una stortura, una stortura che noi purtroppo abbiamo enfatizzato in senso negativo e che per tutti quanti, soprattutto la sinistra, è un’ottima idea”, ha concesso il leghista. Che poi però non si è trattenuto. “Vi leggo quello che accadeva”, ha detto, prima di mettersi a citare numeri progressivi di ascolti telefonici, contenuti di intercettazioni e ampi stralci dell’ordinanza. Badate bene: non ci sarebbe nulla di male, se non fosse che lo stesso schieramento di Bellomo ha di recente approvato una norma per vietare la pubblicazione delle ordinanze. Si tratta dell’ormai noto emendamento del deputato di Azione, Enrico Costa, che stabilisce il divieto di “pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare fino al termine dell’udienza preliminare”, o fino alla fine delle indagini. È il caso delle carte dell’inchiesta per voto di scambio a Bari, ancora in fase d’indagine preliminare: teoricamente non sarebbero pubblicabili sui giornali a causa delle norme approvate dal centrodestra. Eppure gli stessi esponenti del centrodestra le riportano integralmente durante le conferenze stampa.

Quando il leghista era pro bavaglio – E dire che lo stesso Bellomo, prima di scoprirsi appassionato di atti giudiziari, era un sostenitore del bavaglio Costa. “L’ordinanza di custodia cautelare non è un elemento di colpevolezza. Solo le sentenze definitive hanno l’autorità di determinare la colpevolezza di un cittadino di fronte alla legge. Purtroppo, qualche epigono del peggior Robespierre presente in Parlamento, mi costringe ancora oggi a ribadire un principio elementare di civiltà giuridica”, diceva l’esponente della Lega il 20 dicembre, dopo l’approvazione della norma a Montecitorio. Secondo Bellomo pubblicare le ordinanze esponeva “al pubblico ludibrio un soggetto che potrebbe essere totalmente scagionato in pochi giorni” e rischiava di trasformare pochi stralci contenuti nelle carte in uno “strumento di lotta politica“. Tre mesi dopo, evidentemente, Bellomo deve aver cambiato idea su tutta la linea. La lettura pubblica dell’ordinanza dell’inchiesta di Bari, tra l’altro, era stata preparata con cura. Mentre il leghista leggeva, infatti, un maxischermo rilanciava le immagini delle carte dei magistrati. A pochi metri di distanza c’era anche Francesco Paolo Sisto, influente viceministro della Giustizia. Noto avvocato penalista, anche l’esponente di Forza Italia ha spesso difeso l’emendamento Costa: “La scelta di non consentire la pubblicazione integrale o per estratto dell’ordinanza di custodia cautelare è in perfetta linea con il diritto di difesa, la presunzione di non colpevolezza, la direttiva 343 del 2016, la legge 188 del 2021. Il legislatore non può che provvedere rispettando questi principi”, diceva subito dopo l’approvazione da parte della Camera. Non risulta che oggi abbia bloccato Bellomo mentre leggeva pubblicamente le intercettazioni contenute nell’ordinanza.

Il berlusconiano con le carte sul cellulare – Certo Bellomo è della Lega, un partito diverso rispetto a quello del viceministro. Appartiene a Forza Italia, invece, Raffaele Nevi, deputato mandato a Tagadà, su La 7, ad attaccare il centrosinistra sul caso Bari. In che modo? “Io ho sul telefonino mia la richiesta per l’applicazione di misure cautelari della Procura della Repubblica di Bari, Direzione distrettuale antimafia, se vuole gli leggo un pezzettino di questa cosa, se vuole gliela produco”, ha detto il berlusconiano, agitando davanti alle telecamere il suo smartphone. Ma come? Il partito di Nevi ha vietato la pubblicazione delle ordinanze di custodia cautelare – firmate dal gip, cioè un giudice terzo rispetto alle parti – e lui porta in tv addirittura le richieste dei pm, che sono per loro natura un atto di parte, con all’interno solo la ricostruzione della pubblica accusa? Se l’avesse fatto un esponente dello schieramento opposto o addirittura un giornalista, sicuramente, da Forza Italia sarebbero arrivate proteste, accuse e rumorose lamentele. D’altra parte è andata così negli ultimi trent’anni. Nevi, però, sul tema deve essere un po’ confuso. A Deborah Serracchiani, che ricordava come dopo l’approvazione dell’emendamento Costa le ordinanze non sono più pubblicabili, il deputato di Forza Italia ha replicato sostenendo che i suoi “sono atti pubblici” e che “sarà ancora possibile pubblicarli“. Prima si era lamentato del fatto che “purtroppo i telespettatori non li possono vedere”. Chissà cosa succederà quando Nevi scoprirà che le carte sul suo telefonino non si possono già oggi pubblicare né integralmente e neanche per estratto. E soprattutto quando gli spiegheranno che “purtroppo” i telespettatori non possono più conoscere neanche atti che sono davvero pubblici, come le ordinanze di custodia cautelare. E la responsabilità è anche sua.

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Decaro, Bonelli: “Indecente quello che sta facendo la destra, attaccano un sindaco che non è accusato di nulla”

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