“Stamattina mi sono svegliato e ho trovato la mia faccia su alcuni giornali nazionali accostati al termine mafia, mi sono chiesto chi fossero le due donne nella foto e ho contattato le persone con cui ho lavorato sull’antimafia sociale e sul contrasto alla criminalità organizzata, l’ex comandante dei carabinieri di Bari Vecchia e poi l’ex dirigente della polizia di Stato e abbiamo avuto difficoltà a capire chi fossero. Ho chiamato quindi il parroco della cattedrale e abbiamo capito che sono due parenti del boss Capriati ma non hanno nulla a che fare con il resto della famiglia”. A parlare via social, in una diretta andata in onda su Facebook, è Antonio Decaro.

Il sindaco di Bari, al centro di una polemica sulle frasi del governatore pugliese Michele Emiliano, torna a smentire le affermazioni del presidente di Regione e racconta la “sua verità“, anche in relazione alla foto che lo ritrae insieme alla sorella e alla nipote del boss ergastolano Antonio Capriati, condivisa su X da Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d’Italia alal Camera, e pubblicata anche in prima pagina su La Verità.

“A me – ha aggiunto Decaro – è dispiaciuto finire in una foto dove vengo accostato alla mafia ma immagino anche la difficoltà di queste persone che non c’entrano nulla. Don Franco (il parroco della cattedrale, ndr) mi ha detto che la signora ha sposato un uomo con il quale gestisce un negozio, la figlia della signora invece ha sposato uno scrittore e insieme frequentano la parrocchia. A me dispiace ma io ho le spalle larghe e questa attività l’ho cercata, compresi gli attacchi, ma onestamente queste due persone non c’entrano nulla e non vedo perché si debbano ritrovare in una foto solo perché hanno chiesto al sindaco di fare una foto davanti a loro negozio, come mi capita ogni giorno decide di volte”.

Riferendosi al titolo de La Verità, quindi, Decaro continua: “Non capisco quale sarebbe la trattativa Pd-mafia. Io vent’anni fa ero un giovane assessore, un ingegnere e mi occupavo di trasporti. Ero stato chiamato dal sindaco Emiliano per occuparmi della mobilità e uno dei primi temi che ho affrontato è stato proprio la mobilità nella città vecchia. Oggi ce lo siamo dimenticati perché, per fortuna, due terzi della città è pedonale […] ma quello era un periodo in cui c’era il parcheggio selvaggio, l’illegalità all’interno della città vecchia, non solo nel parcheggio. Bari vecchia vent’anni fa era ‘Scippolandià”. “C’erano un magistrato antimafia e un giovane assessore anche preso dal furore del tecnicismo che voleva chiudere la città vecchia – racconta ancora – Non è stato facile. Si sono arrabbiati tutti in quel periodo. Si sono arrabbiati i residenti. Si sono arrabbiati i dipendenti del comune, quelli dei negozi della città. Si sono arrabbiate anche alcune persone legate ai clan criminali perché non credo sia stato facile per loro non entrare con l’automobile o vedersi spuntare le telecamere che recuperavano le targhe di chi entrava. E in quei giorni che son stati difficili mi è anche capitato di incontrare persone che mi hanno maltrattato. C’erano dei ragazzi abbastanza grandi che una sera m’hanno maltrattato”. “Io lo dissi il giorno dopo ad Emiliano e qualche giorno dopo io Emiliano, mentre andavamo in cattedrale da soli, abbiamo incontrato questo gruppo di persone. E lui a modo suo, da magistrato antimafia, disse a quelle persone ‘Decaro lo dovete lasciare stare, quello è un giovane ingegnere, sta lavorando per me, serve al quartiere serve soprattutto ai bambini'” – prosegue – Questo è stato. Io non so cosa ricordi Emiliano. Non ho mai incontrato la sorella di nessuno per parlare di questa cosa – ribadisce – Ho incontrato tante persone nella città vecchia per cercare di trovare una soluzione che tenesse insieme le esigenze dei residenti, le esigenze dei commercianti”.

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