Si è chiuso a Trento con 15 richieste di rinvio il procedimento penale sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nel tessuto economico e politico che ruota attorno al settore del porfido, lucrosa attività di estrazione da alcune cave della provincia. Si tratta del secondo filone scaturito dall’indagine che portò ad arresti ed incriminazioni eccellenti. Per una parte delle accuse si è arrivati già a condanne definitive per associazione mafiosa. Restava aperto il capitolo dei “colletti bianchi” che ha portato il procuratore distrettuale Sandro Raimondi e i sostituti Maria Colpani e Davide Ognibene a chiedere i rinvii a giudizio. Il provvedimento risale a novembre, ma la notizia è trapelata solo ora.

L’accusa di associazione mafiosa è contestata ad Alessia Nalin, Filippo Gioia e Vittorio Giordano, per aver contribuito a costituire un nucleo locale legato alla cosca dei Serraino, che sfruttava i lavoratori del porfido. L’inchiesta era partita dalla denuncia da un cavatore cinese che era stato segregato e picchiato. Il coinvolgimento politico riguarda, invece, differenti episodi di scambio elettorale mafioso che risalgono ad elezioni avvenute nel 2018. In un capitolo sono indagati Domenico Morello (che è già stato condannato in appello a dieci anni per associazione mafiosa) e l’ex sindaco di Frassilongo Bruno Groff, a cui Morello avrebbe promesso voti. Un’ipotesi analoga si riferisce all’ex parlamentare Mauro Ottobre (eletto nel 2013 nelle liste Sudtiroler Volkspartei) per aver accettato la promessa di voti da parte di Innocenzo Macheda (capo della locale trentina) e di Costantino Demetrio, in cambio di favori.

Stessa accusa, infine, per l’ex sindaco di Lona Lases, Roberto Dalmonego, nel cui caso l’iniziativa sarebbe partita da Pietro Battaglia (già condannato in primo grado a 9 anni e 8 mesi). Lona Lases è il Comune trentino travolto dall’inchiesta, dove solo recentemente e dopo anni di commissario prefettizio è stato possibile eleggere un nuovo sindaco, visto che nessuno si candidava o la popolazione non andava a votare.

Il quadro dell’inchiesta è completato, per altre persone, da ipotesi di detenzioni di armi e munizioni, o per aver messo in circolazione banconote false. Il pestaggio dell’operaio cinese ha portato inoltre alla richiesta di processo per omissione di soccorso, omessa denuncia e favoreggiamento, nei confronti dei carabinieri Roberto D’Andrea (ex comandante della stazione di Albiano), Nunzio Cipolla e Alfonso Fabrizio Amato. Secondo l’accusa non avrebbero segnalato i responsabili del grave episodio all’autorità giudiziaria e quindi avrebbero agevolato l’attività dell’associazione mafiosa. Per il comandante, che nega le accuse, c’è anche l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa e omessa denuncia per non aver segnalato un paio di persone che avrebbero picchiato alcuni giovani sospettati di furto in azienda. A un quarto militare è contestata la rivelazione di atti d’ufficio.

La Procura ha confermato quasi tutte le accuse che erano già contenute nell’avviso di conclusione delle indagini. Un capitolo a parte, stralciato, riguarda il generale dell’esercito Dario Buffa, già comandante regionale per il Trentino Alto Adige, accusato di favoreggiamento e sostituzione di persona perché avrebbe cercato, cercato, secondo l’accusa, di ottenere informazioni riguardanti le indagini su Domenico Morello. L’alto ufficiale è sospettato anche di essersi qualificato come appartenente ai servizi segreti, ma nei suoi confronti si profila un giudizio separato.

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