In Russia, secondo i media indipendenti che sono riusciti, in qualche modo, a verificare il voto reale laddove erano riusciti a camuffarsi nei seggi elettorali, la frode ha raggiunto percentuali mostruose. I voti rubati infatti oscillerebbero tra 22 e 36 milioni, su un totale di 76 milioni di elettori. Insomma, falsificazioni di massa, altro che “il voto del popolo” elogiato dal leader della Lega, che dovrebbe vergognarsi per le sue dichiarazioni.

Sia il corrispondente di Le Monde che l’Afp (l’Agence France Presse) parlano di “sultanato elettorale”, che, nel gergo politico russo, identifica le regioni in cui i brogli elettorali più grossolani sono praticati sfacciatamente e impunemente, “senza alcuna preoccupazione per la verosimiglianza o la discrezione e che costituiscono un serbatoio di voci quasi inesauribile per il Cremlino. Tatarstan, Kemerovo, Saratov, Caucaso del Nord, Mordovia, Tuva: in tutti questi territori, la partecipazione come i punteggi assegnati ai candidati del potere, indipendentemente dal tipo di voto, superano sistematicamente l’80 per cento o addirittura sfiorano il 100 per cento”. L’analisi del voto è disarmante, la lettura dei risultati dettagliati addirittura un trionfo della manipolazione, dell’inganno, dell’arroganza.

Mai come in passato, dove pure in altre analoghe circostanze le denunce di brogli sistematici (di cui Alexei Navalny fu il più implacabile Torquemada) raccontavano di elezioni farlocche, stavolta si è andati spudoratamente oltre ogni immaginazione. Di fatto, tutta la Russia è diventata un’immenso “sultanato elettorale”: “Senza nemmeno menzionare le condizioni di organizzazione del voto (oppositori fittizi, media sotto controllo, clima repressivo, intere fasce della popolazione costrette a votare…) o i risultati del voto elettronico, scatola nera impossibile da analizzare, la frode nei seggi elettorali sembra aver raggiunto livelli inediti”, è il commento dei media non allineati a Mosca (le cui redazioni sono in esilio, ma i cui collaboratori riescono, sfidando il regime, a lavorare sul territorio correndo rischi fortissimi).

Le testimonianze non risparmiano nessuna regione, nemmeno la stessa Mosca, dove le autorità in precedenza cercavano di evitare brogli esagerati, intervenendo con una certa discrezione. Stavolta, la lunga manita del Cremlino non ha esitato a truccare i dati. Un esempio clamoroso è quello che riguarda il quartiere Danilovskij, nel sud della capitale. Una zona nota per il suo mercato coperto a prezzi esorbitanti, abitato da gente piuttosto benestante e istruita, più culturalmente attrezzata a non farsi plagiare dalla propaganda governativa. Nei seggi elettorali dove gli osservatori indipendenti sono riusciti a farsi registrare, il dato di Vladimir Putin si è stabilizzato intorno al 60 per cento. In quattro uffici dove erano assenti ha raggiunto il 99 per cento.

La città di Shebekino, 44mila abitanti nella regione di Belgorod, ha fatto meglio: in uno dei seggi elettorali di questa località regolarmente bombardata dalle forze ucraine, la partecipazione è stata (inverosimilmente) del 100 per cento per un voto del 100 per cento a favore di Putin. Persino la Cecenia impallidisce al suo confronto – nota roccaforte dei brogli già denunciati a suo tempo da coraggiosi giornalisti, come Anna Politkovskaja, che hanno pagato con la vita le loro denunce – con il suo pur ragguardevole 98,99 per cento a favore dell’ineffabile Putin, una percentuale che si ripete di elezione in elezione con una costanza che ha dell’incredibile…

Come si è giunti a questo punto di non ritorno? Ossia alla farsa pura di una dittatura che per legittimare il suo potere sempre più repressivo e invasivo non può fare a meno di barare in modo persino comico? La frode a macchia d’olio è stata facilitata innanzitutto dalla drastica riduzione del numero di osservatori indipendenti: “La Russia ha in questo campo una ricca tradizione”, scrive Benoit Vitkine che già aveva raccontato come Putin avesse spazzato via, eliminandola sistematicamente, qualsiasi tipo di opposizione, persino la più inoffensiva, “con decine di migliaia di volontari, spesso ben addestrati, che fino agli ultimi anni si sono registrati come osservatori. La loro presenza durante il voto e al momento del conteggio complicava il compito dei truffatori. Stavolta, solo i partiti ammessi al voto e una manciata di istituzioni potevano accreditare gli osservatori. Anche l’accesso alle telecamere di sorveglianza posizionate nei seggi elettorali era stato limitato”. Caro Salvini, ti piacerebbe, vero?

Risultato: i video di inceppamenti di urne o voti multipli, che erano ancora legioni durante le elezioni legislative del 2021, questa volta sono stati estremamente rari, e spesso presi quasi per caso, da osservatori di buona volontà armati dei loro telefoni. Poveretti, non vorrei essere nei loro panni: pagheranno duramente il fio della loro voglia di documentare la Grande Truffa. Per esempio, in una di queste fortunose riprese, si vede il responsabile di un seggio elettorale di Krasnodar che esce dalla cabina elettorale con diverse schede in mano. E infatti, mal gliene incolse all’autore del video. Invece di arrestare il malfattore con le schede, hanno arrestato lui condannandolo seduta stante a 14 giorni di carcere e a una multa per “offesa ai rappresentanti dello Stato” ed “esposizione di simboli proibiti”. Siamo tornati ai tempi dell’Impero del Male…

“Difficile sapere se tali frodi siano solo più difficili da individuare o semplicemente meno necessarie”, si chiede il giornalista di Le Monde. Perché la tendenza gaglioffa di questa elezione, in termini di falsificazioni, è la pura e semplice riscrittura dei risultati dopo lo spoglio. A volte si tratta di un “semplice” trasferimento di voti da un candidato all’altro: nel seggio elettorale numero 22 di San Pietroburgo, cento voti contati per il “liberale” Vladislav Davankov sono stati attribuiti a Vladimir Putin, e questa non è un’insinuazione delle opposizioni o di Meduza “The Real Russia”, il più noto ed autorevole sito per le sue puntuali e documentate inchieste investigative in cui si registrano le derive autoritarie del Cremlino e la controcronaca di ciò che avviene in Russia (ma lo fa da Riga, capitale della Lettonia); bensì la semplice lettura dei risultati pubblicati dalla commissione elettorale. Cosa che si è ripetuta anche a Mosca, dove il presidente di un seggio elettorale ha esageratamente invalidato “troppe” schede pur di gonfiare la percentuale del presidente uscente.

E mica è solo questo. Un altro espediente è stato quello di pompare artificialmente la partecipazione al voto e inventarsi quindi, oltre ad un afflusso massiccio, anche un plebiscito per Putin. I truffatori a volte applicano alla lettera gli obiettivi numerici forniti loro, ma anche maldestramente. Come ladri in un pollaio quando vengono scoperti dal contadino. Solo che nel caso delle elezioni presidenziali, il contadino ordinava ai ladri di rubare le galline. In alcune regioni, come Belgorod, Kemerovo o Ivanovo, decine di seggi elettorali hanno mostrato venerdì 15 marzo, il primo giorno del voto, cifre di partecipazione identiche alla virgola. Lo zelo dei servi sciocchi. Con effetti paradossali, da film di fantascienza. Nel seggio numero 201 di Mosca, grazie a un afflusso di elettori fittizi, il punteggio di Vladimir Putin è aumentato dal 57 per cento all’86 per cento dei voti tra il conteggio e la pubblicazione dei risultati.

La stessa manovra è osservata – e provata – in nove seggi elettorali di Nizhni Novgorod. Per documentare tali azioni, è stato necessario che osservatori coraggiosi fotografassero il protocollo firmato dai membri del seggio elettorale al termine del conteggio, come consentito dalla legge. Un osservatore del seggio numero 205 di Mosca ha filmato la sua ricerca per scovare i risultati, scomparsi chissà dove. Nella regione molto contestata di Khabarovsk, la commissione elettorale regionale aveva fatto passare prima del voto un ordine scritto e illegale che chiedeva di non comunicare agli osservatori i risultati dello spoglio.

Qual era il compito principale assegnato ai frodatori, per lo più insegnanti delle scuole in cui erano installati i seggi elettorali? Prima di tutto, quello di manipolare la percentuale di Vladimir Putin e quindi offrirgli il plebiscito atteso, anzi comandato. Ma particolare attenzione è stata data anche al ridimensionamento di Vladislav Davankov, uno dei tre posticci rivali di Putin, leader del partito delle “Nuove persone”, che forse poteva aspirare a raccattare i voti del dissenso: nel seggio elettorale di Bagration Street, a Smolensk, dove Davankov ha votato, oltre ad incrementare il risultato di Putin (passato dal 77,1 per cento al 98,3 per cento grazie a una partecipazione artificialmente insufflata dal 64,5 per cento al 95,3 per cento), gli imbroglioni si sono anche preoccupati di ridurre drasticamente il numero di voti raccolti da Davankov, da 115 a 15. Manipolazioni simili sono state riscontrate altrove, anche a favore di altri candidati. Così, alla fine, Davankov ha raccolto il 3,85 per cento dei voti, superato anche dal comunista Nikolai Kharitonov (4,31 per cento), schienato sulle posizioni del Cremlino per quel che riguarda la guerra e il conflitto antioccidentale.

Ovvio quale fosse l’obiettivo di simili interventi. Impedire che gli avversari di Putin potessero attirare l’attenzione dell’opinione pubblica, ubriacata dalla propaganda di regime e dal plebiscito spacciato come “volontà del popolo russo” (il Salviniputiniano pensiero…), e negare l’esistenza di sentimenti pacifisti nella popolazione. Sebbene in questo senso la posizione di Davankov nei confronti di Putin sia leale (il suo partito è una creazione del Cremlino), su di lui si è spostata in gran parte la frangia democratica dell’elettorato, privata di qualsiasi rappresentanza politica. Poveri disperati elettori.

Il giorno dopo le trionfali elezioni, Putin ha ricevuto Vladislav Davankov. Nei “flash” prontamente diffusi dalla presidenza, lo si sente augurare la “vittoria” della Russia in Ucraina e sostenere che Putin è “l’unico” in grado di ottenerla. Amen. Inutile illudersi, fanno capire gli osservatori indipendenti, almeno quei pochi che sono riusciti in qualche modo a documentare i brogli. Sui circa 94.000 seggi elettorali in Russia, questi casi di frode documentati rappresentano una goccia, ma sono rivelatori dei metodi utilizzati – a cui vanno aggiunti i “misteri” del voto elettronico o del voto forzato (avete in mente le urne trasparenti e i soldati armati nei seggi per intimidire gli elettori?). Coercizioni come quella evocata dal sindaco di Nijni Taguil, 350mila abitanti, il quale ha minacciato apertamente di voler licenziare i dipendenti comunali se avessero disertato le urne e non avessero votato come dovevano, senza specificare come sarebbero stati identificati.

Il repertorio è vasto, il panorama di un voto falso e a senso unico è dominante, giorno dopo giorno. Dalla chiusura delle urne, parecchi esperti cercano di valutare il più accuratamente possibile le dimensioni del Grande Broglio, basandosi sul cosiddetto “metodo Shpilkine”, dal nome dello statistico che lo ha elaborato: identificare i seggi elettorali con risultati “anormali”, cioè quelli in cui la partecipazione fa un salto significativo e inspiegabile, che avvantaggia esclusivamente il candidato del potere. Così, l’organizzazione di osservazione elettorale Golos, bandita dalla Russia prima delle elezioni e il cui leader è imprigionato, stima a 22 milioni il numero di voti indebitamente concessi a Putin, su un totale di 76 milioni, definendola “la più importante frode nella storia delle elezioni in Russia”. Il media in esilio Novaja Gazeta Europe va ben oltre, ipotizza una cifra di 31,6 milioni, usando lo stesso metodo.

La differenza sta nella scelta dei seggi elettorali di riferimento, quelli in cui si contano i voti in modo onesto, senza incrementare la partecipazione degli elettori. Tuttavia, nota il media “indesiderabile” Meduza, il numero di questi seggi elettorali “normali” si è ridotto: un tempo erano in maggioranza, ora sono una minoranza in tutte le regioni.

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