“L’appello del pm Sergio Colaiocco al processo Regeni affinché la Farnesina si attivi per la collaborazione dell’Egitto? Non abbiamo bisogno di indicazioni, i magistrati facciano il loro dovere, che noi facciamo il nostro. La Farnesina lo ha sempre fatto“. A replicare infastidito all’appello del procuratore aggiunto nel corso dell’udienza è il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani, replicando al Fattoquotidiano.it, fuori da Montecitorio.
“Oddio che incubo, ragazzi”, esordisce il vicepremier, di fronte alle domande. Per poi scagliarsi contro il pm che si era rivolto al governo, in particolare al ministero guidato dallo stesso Tajani, precisando: “Lo diciamo sin da ora: servirà un proficuo lavoro del ministero degli Esteri che dovrà suscitare la collaborazione delle autorità egiziane. Solo la polizia egiziana, infatti, può notificare gli atti e dare il via libera per ascoltare a processo i 27 testimoni inseriti nella nostra lista e che vivono in Egitto. Questa collaborazione sarà fondamentale per una compiuta ed esaustiva ricostruzione dei fatti”.
Subito dopo il viaggio di Giorgia Meloni in Egitto, gli accordi firmati con il regime del Cairo e le parole vuote della premier (“Regeni? Ne parliamo tendenzialmente sempre di questa questione. Come sapete c’è un processo in Italia“, ndr) rispetto all’incontro con Al Sisi, era stata la legale della famiglia Regeni, Alessandra Ballerini, a commentare: “Uno schiaffo da Meloni? No comment, per fortuna in Italia c’è la separazione dei poteri, aveva replicato al Fattoquotidiano.it.
Tutto mentre anche Tajani si era accodato alla versione di Palazzo Chigi: “Gli accordi? Non hanno nulla a che vedere con il processo Regeni, che deve andare avanti e deve fare piena luce sulla sua morte”, si era difeso. Parole che poco si sposano con i risultati raggiunti dall’esecutivo – come da quelli precedenti – sulla collaborazione delle autorità del Cairo. Perché mentre sono andati avanti negli anni diversi tentativi di depistaggio, la collaborazione invece non c’è mai stata. A partire dal nodo dell’elezione di domicilio dei quattro imputati, che, prima dell’intervento della Consulta, aveva di fatto pure stoppato il processo, rispetto alla questione della mancata ricezione della notifica formale agli accusati. Ovvero, i quattro agenti della National Security Agency, il generale Sabir Tariq e i colonnelli Usham Helmi, Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif, sotto accusa per il reato di sequestro di persona pluriaggravato e (nei confronti di quest’ultimo) di concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.
Eppure Tajani rivendica, spazientito, risultati: “La Farnesina, ripeto, ha fatto tutto il suo dovere e continuerà a farlo. Non bisogna fare propaganda, i risultati li abbiamo raggiunti in silenzio”. Non si sa quali, otto anni dopo un omicidio ancora senza giustizia.
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