Il cambiamento climatico e lo sport: un tema sempre più serio, su cui prendere decisioni in fretta per il futuro di alcune discipline. Il 2023 è stato l’anno più caldo della storia e questo porta con sé non solo novità logistiche, ambientali, di gestione degli atleti, ma anche potremmo dire sentimentali. Nel calcio, ad esempio, ormai ci stiamo abituando ai cooling break, ai turni di campionato interamente serali, ai grandi tornei organizzati in inverno. E stiamo perdendo anche delle particolarità, dei microeventi che però avevano la capacità di restare in testa. Uno di questi sono le partite sotto la neve.

Non si sa perché, forse perché la neve ci fa sentire un piacere animale, come scriveva Pessoa, ma le partite sotto la neve sono per tanti un ricordo speciale. Se parliamo di Serie A, tanti 40-50enni hanno già aperto il file di due partite della Juventus, quella di Brescia del gennaio 1987 (quando Branco a fine partita dice che per la prima volta ha visto la neve) e l’andata degli ottavi di Coppa Italia di un anno dopo a Como, quando segna il gol partita Corneliusson, svedese (e ci può stare), anche se il migliore in campo è Dirceu, brasiliano di Curitiba (e questo è più strano). Anche milanisti e interisti hanno i loro ricordi imbiancati. Per un gioco del destino i rossoneri per due volte dovettero giocare sul bianco contro il Lanerossi Vicenza. La prima volta il 4 gennaio 1970 con il Milan che perde ma Rivera dispensa regali tecnici come un Babbo Natale dai piedi fatati. La seconda il 19 febbraio 1978 (Rivera c’è ancora) ma è Ricky Albertosi a fare magie nella tormenta del “Menti”. Anche i nerazzurri hanno giocato spesso in mezzo ai fiocchi, ma un’intelligenza artificiale a cui vengono date in pasto le keywords “Inter” e “neve” tirerà fuori la quaterna di Milito e la tripletta di Miccoli in Inter-Palermo 4-4 del febbraio 2012 e poi il tuffo di Obi nella neve accumulata dietro i cartelloni pubblicitari. Torna su tutto impupazzato, un’immagine indimenticabile.

Ci sono poi partite e momenti che la neve ha marchiato a fuoco. Come non pensare alla prestazione di Gianluca Vialli a Tromsø nell’ottobre del 1997. Il Chelsea perde ma lui sguazza nel bianco come fosse un bambino. Oppure alla punizione di Pjanic a Bergamo nel febbraio del 2013 (il giorno in cui Marquinho senza la “s” sembrava Neymar). E ci sono anche i ricordi brutti, come quelli che attanagliano i tifosi juventini al solo sentir parlare di GalatasarayJuventus della Champions League 2013-2014. La Juve perde per un gol di Sneijder e Conte considera questa volta giustamente agghiacciante il fatto che gli addetti del Gala avevano pulito solo la parte dove avrebbe attaccato per più minuti la loro squadra.

Poi ci sono tre partite nella tormenta più assoluta, quelle forse dove era sensato interrompere ma per fortuna non è stato fatto. La finale di Coppa Intercontinentale giocata a Tokyo l’11 dicembre 1987 fra Peñarol e Porto non ha alcun senso (il telecronista portoghese ripete almeno 30 volte: “nevando tremendamente”) e anche meno ne ha la prestazione di Rabah Madjer, algerino, detto Tacco di Allah anche se in quel caso sarebbe stato meglio associarlo a uno scarpone da neve (a fine partita meravigliosa immagine di Geraldão, il quale dopo aver giocato 120’ nella bufera durante la premiazione si tiene un ombrello in testa). La seconda riguarda Russia-Italia, spareggio per Francia ’98. Altra tempesta bianca a Mosca, Pagliuca deve uscire ed esordisce Buffon che fa un paio di miracoli, Vieri segno il gol del vantaggio (il grido “Vieri sìììì” di Pizzul dovrebbero venderlo le farmacie in file mp3), i russi pareggiano ma alla fine passa l’Italia.

Infine, altra partita di qualificazione mondiale fra Usa e Costa Rica. Si gioca in Colorado, a -3°C con venti che superano di 60km/h, nel secondo tempo la neve fa giocare tutti in un’appannata atmosfera lattiginosa. In Costa Rica la minima non scende mai sotto i 20°C. A fine partita i dirigenti centroamericani denunciano il fatto che alcuni giocatori si stavano assiderando. Si potrebbe raccontare di altre partite, alcune ricordate come bellissime solo perché, come scrive Nelo Risi, “È la neve d’infanzia che fa begli gli oggetti”, mentre la neve vera fa belle le partite di calcio, ma nonostante sarà sempre più difficile, la speranza di rivedere palloni e righe arancioni, maglie termiche per i tremila metri, la segatura davanti alla porta e copricapi strani (come quello di Alex Del Piero indossato durante Lech Poznań-Juve del 2010) non ci abbandonerà mai.

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