Si dice che quando i soldi manchino, nel calciomercato serva inventiva. Ma quando invece ci sono? La risposta, in realtà, è la stessa. Perché se prima le società si appoggiavano agli scout e ai contatti sul territorio, ora hanno scelto una via diversa. A dirla tutta, complementare: il dato e il computer. Se n’è parlato tanto la scorsa estate, quando il Milan stravolse la sua organizzazione societaria per approntare una strategia più tecnologica con risultati anche interessanti. L’idea di fondo è quella di ridurre il margine di errore quando viene proposto l’investimento: spesso funziona. A volte no. Chiedere a Danilo Iervolino, che sta precipitando in Serie B con la Salernitana per operazioni di mercato che non si sono rivelate all’altezza. “Le scelte estive sono tutte di De Sanctis” ha dichiarato il presidente dei granata al Corriere dello Sport, scaricando sull’ex direttore sportivo la responsabilità di alcuni acquisti che non hanno convinto. E il dato? Si deve partire da due nomi per capirlo: Trivante Stewart e Charles Ikwuemesi, entrambi attaccanti ed entrambi oggetti misteriosi di questa Serie A. Mentre il secondo, 22 anni, ha comunque giocato 19 partite, per il primo, 23 anni, parliamo di un impiego totale di 96’. Cosa li rende particolari? Stewart è il primo giocatore giamaicano a essere arrivato direttamente dalla Giamaica in Serie A. Ikwuemesi, nigeriano, è stato prelevato dal campionato sloveno. Non proprio due giocatori conosciuti.

De Sanctis e il suo staff ci hanno creduto, perché il dato, evidentemente, li vedeva come funzionali alle richieste dell’allora allenatore, Paulo Sousa. “Ma c’è tutto un altro fattore da considerare: noi lo definiamo umano”. A parlare a ilfattoquotidiano.it è Daniele Bianchi, Data Specialist nel calcio. Il suo lavoro è a un livello diverso rispetto a quello del Data Analyst: deve trasformare una grande quantità di dati in soluzioni tecniche per gli addetti ai lavori, un mix di analisi statistica e competenze “da campo”. Di fatto, deve saper incrociare tutte le richieste dei singoli allenatori e selezionare una shortlist di nomi che poi verranno valutati dagli osservatori. Appunto un occhio umano. “Quello che facciamo noi è raccogliere una quantità di dati notevoli per capire quale possa essere il giocatore più funzionale al progetto tattico dell’allenatore della determinata squadra”. Le rilevazioni sono diverse e sempre più precise: si passa dalla quantità e la qualità del passaggio, all’indice di probabilità di segnare gol, all’apertura di gioco da parte del portiere, ai tiri con il piede debole e altri ancora. “Da questi dati di solito si vengono a comporre liste di decine di nomi provenienti da tutti i campionati. Noi iniziamo a scremarli, per arrivare a un numero di 5-10 giocatori che siano compatibili il più possibile con le richieste. Budget incluso”. Poi tocca alle società, che devono capire se effettivamente quel profilo possa essere idoneo, tenendo conto anche del fattore ambientale: anche se le caratteristiche dovessero coincidere, non è mai detto che un certo tipo di pressione possa essere sopportato da tutti.

“In questo modo, comunque, si riduce il margine di rischio e si prova ad anticipare il mercato. Ma la parola chiave, per noi, resta e resterà sempre ‘funzionale’: un giocatore è sempre diverso da un altro, ma il dato difficilmente sbaglia. La vera difficoltà è fargli la domanda giusta per arrivare all’obiettivo”. Insomma, non proprio una scommessa, ma quasi. Anche se la ricerca è davvero dettagliata e può andare a pescare ovunque. A dirla tutta, ora le società confrontano i dati per quasi ogni operazione: Thuram, per esempio, era stato inserito in una shortlist come sostituto di Lukaku all’Inter; Weah jr figurava tra i nomi papabili per sostituire Cuadrado alla Juventus. Sono solo due esempi di come questo mondo stia cambiando, e anche in fretta. “Le società adottano software diversi da anni”, specifica Bianchi. “Solo che adesso, il livello di precisione e di profondità è molto diverso. Il nostro obiettivo sta poi nel selezionare i dati giusti, che poi gli osservatori dovranno testare sul campo”. Quando funziona, i risultati possono essere davvero molto importanti. Se l’obiettivo fallisce, i danni possono essere notevoli. Ma da una rivoluzione, per definizione, non si può mai tornare indietro. E quella nello scouting è cominciata da anni.

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