La gara di Oliver Bearman ha rappresentato uno dei pochi highlights del Gran Premio dell’Arabia Saudita, per il resto moscio e scontato, come troppo spesso ormai accade in Formula 1. La speranza è che la prestazione del ferrarista non sia solo una grande illusione. Non sotto il profilo del talento del 18enne di Chelmsford, indiscutibile fin dai tempi della F4 (è stato campione nella serie italiana e tedesca) e certificato dalla gara di Jeddah, quanto delle prospettive. Quale futuro può avere un giovane in un ambiente sempre più conservatore e arroccato sulle proprie posizioni, che impedisce l’allargamento dei partecipanti (leggi l’undicesima scuderia, voluta dalla FIA ma non da Liberty Media e dai team) e contestualmente appare ancorato ai soliti nomi? La filosofia sembra essere quella del rischio zero, con contratti lunghi e blindatissimi, e non solo per i piloti di punta. La stagione 2024 è la prima della storia dove non si è verificato alcun cambiamento nel roster.

I precedenti degli ultimi anni non invitano i piloti emergenti all’ottimismo. Le uniche chance sono arrivate dalle appendiciti e da un polso fratturato. Nel 2022 a Monza toccò a Nick de Vries, nemmeno più giovanissimo, ottenere la tanto agognata chance in F1 sostituendo in Williams Alexander Albon, operato d’urgenza di appendicite. Finì a punti, nono, guadagnandosi un contratto con l’Alpha Tauri per la stagione seguente, poi finita malissimo. Lo scorso anno fu invece il turno di Liam Lawson prendere il posto per 5 Gran Premi di Daniel Ricciardo, fratturatosi il polso sinistro nelle prove libere di Zandvoort. Anche in questo caso l’esperienza è stata positiva, con il picco raggiunto a Singapore con il nono posto finale. Eppure le buone prestazioni non sono state sufficienti per la riconferma. Non in Red Bull, nella cui Academy Lawson si è formato, ma nemmeno nella Visa Cash App RB che ha optato per l’usato sicuro Ricciardo. Oltretutto con esiti poco entusiasmanti, anzi, quasi comici: l’ordine di scuderia in Bahrain ai danni del compagno Tsunoda più veloce di lui è stato imbarazzante.

Bearman appartiene al team, la Ferrari, oggi meno indicato di tutti a livello di offerta di occasioni concrete per i giovani. L’affare Hamilton ne è la più grande dimostrazione. Soldi, tanti, per provare a vincere tutto e subito, con il più grande prodotto della recente storia della Rossa, Charles Leclerc, ritrovatosi improvvisamente declassato a secondo pilota (oppure qualcuno pensa che Hammer vada a Maranello a fare il Sergio Perez?). Di un nuovo “predestinato” nessuno ne sente il bisogno, tanto meno lo stesso Bearman. Per il quale si potrebbe ipotizzare un percorso alla George Russell, con un paio di stagioni di apprendistato in una squadra meno competitiva. Per l’attuale pilota Mercedes fu la Williams, per il ferrarista potrebbe essere la Haas, anche se la scuderia americana, a differenza della citata Williams, è un di quelle che predilige l’usato sicuro a basso rischio. Un altro scenario potrebbe essere una rottura alla Oscar Piastri, che abbandonò la Alpine per la McLaren a causa della mancanza di prospettive (ovvero un sedile in tempi brevi), accettando di restare fermo un anno. La Formula 1 è un imbuto che offre diverse opzioni ma pochissime certezze.

L’aspetto positivo della vicenda è che Bearman ha dimostrato di essere un talento vero, senza se e senza ma. Perché ci sono stati anche quelli. In questi giorni si legge di pilota costruito al simulatore, quasi a voler dare un’accezione negativa, o comunque diminutiva, al percorso di Bearman. Il quale, come gli esempi sopra citati, ha esordito alla grande, soprattutto considerando i tempi ristretti di preparazione (in 74 hanno raccolto un risultato migliore di Bearman al loro primo GP in F1, ma molti appartenevano alla Formula 1 del passato e si trattava comunque di piloti che avevano svolto test e preparazione, non avvisati il giorno prima). Il simulatore e tutti gli ausili di tipo elettronico sono il frutto di un’evoluzione delle corse che rende sterile il confronto con il passato. Non è “più facile” oggi solo perché la componente tecnologica è maggiormente predominante. Si tratta proprio di un mondo diverso, come diversa è la preparazione richiesta al pilota.

Ragazzi come Bearman arrivano dalle Academy dove il percorso formativo è iper-professionale e riguarda tutti gli aspetti, inclusi quelli psicologici e di gestione della pressione. Il tutto per prepararli ai vari salti di categoria, fino a una F2 che mai come oggi è vicina, a livello di monoposto, alla F1. Oggi i piloti devono gestire una quantità di informazioni enorme, basta confrontare un volante attuale con uno di venti o trenta anni fa. Un mondo diverso rispetto a quando il pilota saliva sulla propria auto e guidava. Un mondo in costante evoluzione, come dovrebbe sempre essere. Se poi sia migliore o peggiore dipende dalle opinioni e dai gusti personali, anche se guardando il tasso di mortalità in tutte le varie formule è difficile rimpiangere il passato. Bearman quindi è “costruito”? Si, ma nell’accezione positiva del termine, ossia dotato di tutti gli strumenti necessari per poter mettere a frutto le sue grandi capacità nel complesso mondo delle corse. Costruito come Erling Haaland, per fare un paragone calcistico. Bearman è emozione pura, a patto di non avere lo sguardo sempre e solo rivolto all’indietro.

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