Il Procuratore nazionale Antimafia e Antiterrorismo, Giovanni Melillo, sentito ieri in Commissione parlamentare Antimafia sulla vicenda dei presunti accessi abusi alle banche dati partiti dagli uffici della Direzione nazionale Antimafia, sarà riuscito nell’impresa di rassicurare Fedez? Il rapper, dopo aver appreso di essere tra gli “spiati”, ha commentato: evidentemente i magistrati dell’antimafia non hanno niente di meglio da fare. Fedez forse non lo sa, ma con le sue parole ha rappresentato bene (potere degli artisti!) le aspettative di chi – come Gasparri, Cassese e altri famelici commentatori – ha già cominciato a far circolare il velenoso sospetto: servirà ancora la Procura nazionale Antimafia? Non sarebbe meglio abolire questo carrozzone e tornare all’organizzazione ordinaria? Non è che questa abnormità, lungi dall’essere utile contro la mafia, è servita alla sinistra per controllare gli avversari, premiando poi lautamente i sodali e solerti magistrati antimafia con incarichi parlamentari?

Io sono certo che il Procuratore Melillo, che sul punto non ha trattenuto un moto di stizza (“farei volentieri altro nella vita se non fosse ancora necessario questo servizio di coordinamento e di impulso”) abbia dato ottimi elementi a Fedez sulla utilità della Procura Nazionale Antimafia e Antiterrorismo (che semmai, come tutto il comparto “giustizia”, ha bisogno di adeguati investimenti per difendersi dalle nuove minacce cibernetiche); dubito invece che sortirà uguale effetto nei confronti dei destri e di coloro che, magari in buona fede e senza accorgersene, finiscono per giocare nella loro medesima squadra.

Lo schema polemico che viene usato infatti a me ricorda quello adoperato contro un altro totem da abbattere, quello delle misure di prevenzione patrimoniali. Lo schema è così semplice da apparire rozzo: buttare via il bambino con l’acqua sporca. Partire cioè da un fatto grave per delegittimare l’intero sistema. La somiglianza però non finisce qui, perché non c’è soltanto lo stesso modo di attaccare: c’è un filo che lega l’oggetto degli attacchi e questo filo è l’attrezzatura con la quale lo Stato agisce in prevenzione contro mafie e corruzione.

La prevenzione è quella attività fondamentale dello Stato finalizzata a impedire che vengano commessi crimini gravi, anticipando il proprio intervento alla fase del sospetto che stia per succedere. L’esempio più chiaro per me per spiegare di cosa stiamo parlando resta quello della violenza sulle donne: chi di noi obietterebbe alla attività di prevenzione che lo Stato deve svolgere sulla base della segnalazione di condotte che possono preludere alla violenza femminicida? Quante volte, giustamente, ci si è indignati perché a fronte di segnalazioni ripetute e documentate di comportamenti aggressivi lo Stato non è riuscito ad intervenire per tempo, neutralizzando il maschio violento, permettendogli così di arrivare alle estreme conseguenze?

Quante morti, quante vite violentate e offese, ha pianto il nostro Paese a causa dell’attività delle mafie? Quanto ci abbiamo messo a capire che la forza delle mafie sta nelle relazioni esterne, nella cosiddetta “zona grigia”, quella dei colletti bianchi, quella del “mondo di sopra” che costruisce alleanze oscene per denaro e per potere (che poi sono quasi sempre la stessa cosa)? Quanto ci abbiamo messo a capire che il cemento di questi patti scellerati sta nel denaro nascosto, che costituisce riserva nera alla quale attingere e che queste riserve nere sono generate attraverso l’evasione e l’elusione fiscale, oltre che dai traffici illeciti?

Quanto ci abbiamo messo a capire che il denaro sporco e quello nascosto vanno fatti girare, perché si moltiplichi attraverso operazioni sofisticate di riciclaggio, che spesso coinvolgano persone non sospettabili? Troppo: ci abbiamo messo troppo! E l’abbiamo capito a caro prezzo, quasi sempre dopo la morte violenta di coloro che avevano passato la vita a segnalare il pericolo e pure il modo per affrontarlo: la prevenzione, centralizzata e specializzata.

Prevenzione, centralizzata e specializzata, è il cuore della strategia contro mafie, corruzione e riciclaggio voluta da Cesare Terranova, Pio La Torre, Giovanni Falcone, Carlo Alberto Dalla Chiesa: tutti morti ammazzati. Chi può essere così imbecille da voler smontare ciò che è servito ad arginare il potere criminale che li ha assassinati, spalancando così le porte a nuovi lutti? Prevenzione, centralizzazione e specializzazione sono i criteri che ancora ispirano (e rendono efficaci) le SOS (Segnalazioni Operazioni Sospette), che ispirano il lavoro della Banca d’Italia, della Procura nazionale antimafia e antiterrorismo, delle misure di prevenzione patrimoniali (oggi sul banco degli imputati alla Cedu), della Direzione Nazionale Antimafia.

A meno di ritenere che mafie, corruzione e riciclaggio non siano più un male per la democrazia. A meno di ritenere che candidare in Parlamento chi ha dedicato la vita a combatterle sia peggio che candidare chi dalla mafia si è fatto proteggere.

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