Ogni volta che il premier israeliano Netanyahu parla di Gaza, sullo sfondo dello schermo pare affollarsi una massa grigia di volti, la bocca spalancata nel grido di Munch. Sono i diecimila bambini di Gaza massacrati nei bombardamenti dell’esercito israeliano. Nulla giustifica quella che il segretario di Stato vaticano, cardinale Parolin, ha chiamato una carneficina. La barbarie dei fatti del 7 ottobre è responsabilità di Hamas. La brutalità della continua strage di Gaza è responsabilità di Netanyahu. Nessuna cancella l’altra.

L’opinione pubblica internazionale non dimenticherà mai il massacro di civili più tragico del XXI secolo. E ogni tentativo di giustificazione si disperde dinanzi alla realtà di centinaia di bambini amputati senza anestesia negli ospedali della Striscia. Ha scritto Avvenire, giornale dei vescovi, citando Primo Levi e la sua riflessione su Uomini e no, che “oggi le vittime sono palestinesi e ad annientare Gaza sono gli israeliani, i discendenti degli ebrei scampati (all’Olocausto). Che le vittime si facciano carnefici ci sconvolge”. L’editorialista Marina Corradi ha ben presente il Male scatenato da Hamas il 7 ottobre: donne incinte sventrate, donne violentate e uccise, bambini bruciati. Era comprensibile, dice, una reazione da parte di Israele viscerale e rabbiosa. “Cinque mesi e trentamila morti dopo, però, la vendetta non può continuare”.

In questa scenario papa Francesco si aggira come un profeta dell’Antico Testamento, che grida inascoltato. Evocando le migliaia di morti e feriti e le immani distruzioni in corso, ha esclamato domenica: “Mi domando: davvero si pensa di costruire un mondo migliore in questo modo, davvero si pensa di raggiungere la pace?… Diciamo tutti: basta, per favore! Fermatevi!”.

E’ inutile, secondo il Vaticano, continuare a giocare con pezzettini di soluzioni. La via maestra è quella indicata da Biden, ma a cui il presidente americano nell’anno elettorale – ondeggiante tra gli opposti gruppi elettorali, arabo ed ebraico – non riesce a dare la necessaria operatività. Che richiederebbe un ruolino di marcia stringente, da incardinare quest’anno, il 2024: cessate il fuoco definitivo a Gaza con liberazione di tutti gli ostaggi, libere elezioni palestinesi in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est, formazione di un governo rappresentativo dell’Autorità palestinese, conferenza internazionale per varare uno stato palestinese con reciproche garanzie di sicurezza tra Israele e Palestina.

E’ impressionante che il dibattito in proposito sia molto più aperto e vivace in Israele e negli Stati Uniti, mentre l’Unione europea non riesce ad avanzare una sua proposta politica incisiva, a partire da una reale pressione sul governo israeliano perché a Gaza arrivino rifornimenti in massa. Ottanta camion in un giorno sono ridicoli quando ne servirebbero 800 quotidianamente. Trentottomila pasti paracadutati sono una barzelletta a fronte di due milioni di affamati.

Il cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, spiega sull’Osservatore Romano che a Gaza la mancanza di cibo, medicinali ed acqua è tale che le famiglie riescono a cucinare una “volta o due e quello che cucinano deve bastare almeno per una settimana”. Come ha scandito il segretario di Stato americano Blinken, “gli israeliani sono stati disumanizzati nel modo più orrendo il 7 ottobre. Gli ostaggi sono stati disumanizzati da allora, ma questo non può costituire una licenza per disumanizzare altri”.

Sabato scorso papa Francesco si è incontrato in Vaticano con il cancelliere tedesco Scholz. Il profeta disarmato (e isolato diplomaticamente dalla Nato) da un lato e dall’altro il leader di Berlino pressato perché partecipi ad un’escalation nel conflitto con la Russia. Il pontefice e il cancelliere (che poi ha incontrato anche il cardinale Parolin) hanno affrontato il tema della “ricerca instancabile di una soluzione diplomatica” sia per l’Ucraina sia per il conflitto israelo-palestinese. In modo che “si arrivi quanto prima alla cessazione delle ostilità”.

Scholz si trova in una situazione difficile. Al recente vertice di Parigi sull’Ucraina il presidente Macron ha evocato l’ipotesi di un impegno diretto di soldati sul terreno ucraino. Una proposta che riprende le tesi oltranziste avanzate mesi fa dall’ex segretario della Nato, Anders Rasmussen, che da consulente del presidente Zelensky sosteneva la possibilità che soldati di paesi europei entrassero in Ucraina per combattere i russi.

In Vaticano un simile scenario viene giudicato irresponsabile ed estremamente pericoloso, contrario fra l’altro alla linea strategica del presidente statunitense Biden di evitare uno scontro diretto fra la Nato e la Federazione russa. Il cancelliere Scholz è anche sotto pressione in patria e all’estero perché fornisca a Kyiv i missili a lunga gittata Taurus in grado di colpire il territorio russo. Scholz ha detto no a soldati tedeschi in Ucraina e no alla fornitura dei Taurus e sa di avere l’appoggio del Vaticano, che respinge la retorica sovraeccitata, diffusa in certi ambienti Ue e ispirata allo slogan “O si vince o si perde, non c’è spazio per un compromesso”.

Tra i falchi, tesi ad uno scontro senza quartiere con Mosca, si distinguono Gran Bretagna e paesi baltici, utilizzando la narrativa ossessiva secondo cui l’Ucraina sarebbe per Mosca solo il “primo passo” e poi l’aggressione russa toccherebbe ad altri paesi Nato. Cosa che non ha mai fatto parte degli obiettivi di Putin.

In questo scenario il Vaticano appare solo nella tenace ricerca di accordi di pace. Ma è una prospettiva meramente occidentale, perché il Sud globale e la maggioranza degli Stati del pianeta condivide la linea della Santa Sede. Più che mai resta valida la proposta lanciata da Francesco dopo i primi mesi di guerra in Ucraina: la convocazione di una conferenza tipo Helsinki-2 per definire con i maggiori protagonisti della scena geopolitica le nuove regole della convivenza internazionale.

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