Ci sono momenti in cui ancora si è fieri e orgogliosi di essere liberi, liberi di parlare ed esprimere un’opinione coraggiosa. Essere liberi, di questi tempi, arranca: liberi di essere studenti e manifestare un’idea diversa dal manganello, liberi di essere la Dirigente Annalisa Savino e scrivere una lettera rivolta agli studenti sul pericolo del fascismo, liberi come gli artisti del San Carlo di Napoli, che pochi giorni fa al termine del “Don Giovanni” hanno vestito i panni più belli che il teatro insegna ad essere: quelli dell’altro.

Essere liberi, di questi tempi, non è uno scherzo e quando l’opinione si sposta su un piano pericolosamente inclinato come quello del Medio Oriente occorre essere consapevoli che la tua idea non passerà né inosservata né trascurata. Napoli, San Carlo, non un luogo qualunque, non una città qualunque, quella in cui mai è esistito un ghetto per ebrei, la città in cui l’inclusione è seconda solo a due cose: San Gennaro e Maradona.

E’ la città che Nanni Loy ha raccontato ne “Le quattro giornate di Napoli”, la città che ha cacciato i nazisti prima che arrivassero gli alleati. E’ la città degli artisti del San Carlo, un mestiere certo non facile, certo non sicuro, certo non scontato, dove il palco lo hanno trasformato in quel meraviglioso striscione che si fa manifesto di cultura, arte e resistenza umana “CESSATE IL FUOCO”.

Di questi tempi, chiedere la pace, sembra essere considerata una minaccia, quella di chi sta con i più deboli, quelli che in una guerra muoiono per primi: gli innocenti. Esporre questo striscione, di questi tempi, è un atto di ribellione al silenzio, all’attesa, a qualunque guerra sempre e maledetta. Non è un caso che venga da un teatro come il San Carlo, da una città come Napoli, dal mondo della cultura, quella che quando fa pensare mette una paura del diavolo a chi vorrebbe soffocare l’indignazione. L’arte, come la cultura, che non si schiera è solo vanto.

Grazie artisti del San Carlo!